Pasqua 2017

16-04-2017
Domenica di Pasqua, 16 aprile 2017
 
Fratelli carissimi, è impossibile fissare il Sole di Pasqua, e tuttavia il “grandangolo” dei quattro Vangeli ci consente di allargare lo sguardo sui molteplici fasci di luce della Risurrezione di Cristo. Gli evangelisti, che hanno narrato con ricchezza di particolari la discesa di Gesù “nell’ombra della nostra infinita bassezza”, non riescono a fare un “resoconto ordinato” dell’inondazione di luce che “l’evento stupendo della nostra Redenzione” ha riversato, a partire da Gerusalemme, su tutta la terra. Il primo annuncio della gioia pasquale che le donne recano ai discepoli, “al mattino presto”, essi lo interpretano “come un vaneggiamento” (cf. Lc 24,11).
L’elemento centrale dei racconti della passione, morte e sepoltura di Gesù è la pietra che copre la sua tomba. Nell’ora del “tutto è compiuto” (cf. Gv 19,30), fissata dal Padre e stabilita dal Figlio con l’Amen della sua obbedienza alla morte, “e a una morte di croce” (cf. Eb 10,7; Fil 2,8), si registra un forte terremoto, che squarcia in due il velo del tempio di Gerusalemme (cf. Mt 27,51-52). Questo spasmo delle viscere della terra cela, come la brace sotto la cenere, il grido di dolore dell’umanità, interpretato dalla confessione del Centurione e delle guardie – “Davvero costui era Figlio di Dio!” (Mt 27,54) –, che completa la dichiarazione di Pilato: “Ecce Homo” (Gv 19,5).
 Trascorso il sabato, arriva un’altra scossa di terremoto, quella che accompagna la Risurrezione di Cristo: un angelo del Signore rotola la pietra e si posa su di essa, lasciando tramortite le guardie (cf. Mt 28,2-3). Se la mano degli uomini ha sigillato il sepolcro di Gesù, il dito della mano di Dio l’ha spalancato: mentre l’uomo è specializzato nel chiudere, Dio è esperto nell’aprire. L’invito a “non temere” (cf. Mt 28,5) sollecita le donne a rimuovere le macerie provocate dalla prima scossa di terremoto, che ha suscitato in loro profondo turbamento, tanto dolore e grande paura. Il turbamento disorienta, il dolore paralizza, la paura rende miopi, soffoca la speranza, impedisce di uscire fuori. “Pasqua è percepire che la pietra tombale diventa porta”.
Il contrasto tra la staticità irremovibile della pietra tombale e il terremoto genera una grande energia che imprime un’accelerazione a tutta la scena. Le donne, con il cuore in gola, corrono dai discepoli a dare l’annuncio del sepolcro vuoto e si incontrano con Cristo (cf. Mt 28,8-10). Pietro si precipita, insieme a Giovanni che lo precede, a vedere cosa è successo (cf. Gv 20,3-4). L’alba radiosa e splendida della Pasqua di Gesù non concede spazio ad alcuna sosta, nemmeno per riprendere fiato: neanche alla Maddalena è permesso di trattenere il Signore e di intrattenersi con Lui (cf. Gv 20,17). La Risurrezione del Signore è un impulso di vita nuova ed eterna che, alla velocità della luce, raggiunge anzitutto le donne e, attraverso di loro, viene trasmesso agli apostoli, fino ad arrivare a noi. Se Cristo non fosse risorto, la missione della Chiesa esaurirebbe la sua spinta, perché è dal sepolcro vuoto che è partita e sempre si rimette in cammino.
            La fuga di Pietro verso il sepolcro è documentata da Giovanni e da Luca (cf. 24,12). Quella corsa è segno della risurrezione di Pietro, oppresso dalla tristezza per la morte del Maestro e amareggiato per averlo rinnegato tre volte. “C’è però un particolare – osserva Papa Francesco – che segna la sua svolta: Pietro, dopo aver ascoltato le donne e non aver creduto loro, tuttavia non rimase seduto a pensare, non restò chiuso in casa come gli altri. Non si lasciò intrappolare dall’atmosfera cupa di quei giorni, né travolgere dai suoi dubbi; non si fece assorbire dai rimorsi e dalla paura. Cercò Gesù, non se stesso. Preferì la via dell’incontro e della fiducia e, così com’era, si alzò e corse verso il sepolcro, da dove poi ritornò pieno di stupore”.
Fratelli carissimi, “se è abissale il mistero del male, infinito è l’Amore che lo ha attraversato, giungendo fino al sepolcro e agli inferi”. La morte di Gesù ha rivelato la vita: “Mors ero mors tua”. Un inno del Venerdì santo, nella Liturgia Ambrosiana, termina con un’immagine potente in cui si sottolinea che a morire sulla croce fu davvero solo la morte: “Con la Pasqua festeggiamo la morte della morte”. Con la capacità evocativa propria delle immagini, l’inno Victimae paschali annuncia la sconfitta dell’antico avversario: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa”.
Se l’inno Victimae paschali, che risale all’XI secolo, chiede a Maria di Magdala di raccontare quello che ha visto, il testo dell’Exsultet, di origine altomedievale, pone sulle labbra della Chiesa uno degli ossimori più disarmanti della fede cristiana: felix culpa. Dal punto di vista stilistico l’Exsultet è un preconio, ovvero un bando. Come a Natale l’inno del Gloria, intonato dagli angeli, è risuonato nei cieli aperti, illuminando la notte che ha svegliato l’aurora della “pienezza del tempo”, così a Pasqua l’Alleluia, che ha preso la nota dell’Exsultet, ha scosso le viscere della terra e la sua eco, dalla cassa armonica del sepolcro vuoto, continua a moltiplicare la gioia della Chiesa.
Fratelli carissimi, il grido di fede felix culpa ci assicura che Dio trae il bene anche dal peccato e dalla morte. Il male, con tutto il suo peso, non sottrae alle mani di Dio la signoria del mondo e della storia: invano tenta di mettere radici profonde, ma non ha l’ultima parola. Niente sfugge dall’ombra della mano di Dio che, nel suo Figlio, “ha preso su di sé la morte che ha trovato in noi e così ha assicurato quella vita che da noi non può venire”. “Stupefacente scambio!”: esclama Sant’Agostino. Gesù, nel punto più estremo del suo abbassamento (cf. Fil 2,6-8), ha piantato l’infinito nel cuore degli uomini e ha fatto germogliare la speranza, che “non delude” (cf. Rm 5,5), una “speranza affidabile”, come nell’enciclica Spe salvi la definisce Benedetto XVI che, proprio oggi, compie 90 anni.
            Fratelli carissimi, stanotte, poco prima della Veglia pasquale, il primo annuncio dell’Alleluia mi è giunto per strada, sotto una pioggia battente, da un giovane musulmano di nazionalità marocchina: “Buona Pasqua, signor Vescovo, per lei, oggi, è festa grande”. Queste parole, che mi sono sembrate “un vaneggiamento”, sono state il preludio dell’Exsultet.

 

+ Gualtiero Sigismondi