Natale del Signore – Messa del Giorno, 2015

25-12-2015
Natale del Signore – Messa del giorno, 2015

 

“Dio, che nei tempi antichi ha parlato per mezzo dei profeti” (cf. Eb 1,1-6), è uscito dalla sua luce inaccessibile, “come uno sposo dalla stanza nuziale”, e ha mostrato il fulgore del suo Volto misericordioso in un bambino avvolto in fasce, posto in una mangiatoia (cf. Lc 2,7). La liturgia del Natale, con le sue quattro Messe, è come una Porta santa che introduce nel mistero dell’incarnazione del Verbo: la Messa del giorno è l’architrave di questa porta; quella dell’aurora e della notte sono gli stipiti; quella vespertina nella vigilia è la soglia di ingresso. 
Fratelli carissimi, la liturgia natalizia è pervasa di luce. L’evangelista Luca annota che, nella Notte santa, quando un angelo del Signore si presenta ai pastori “la gloria del Signore li avvolge di luce” (Lc 2,9). Il Prologo di Giovanni scorge nel Verbo fatto carne “la luce vera, che illumina ogni uomo” (cf. Gv 1,9): una luce che splende nelle tenebre (cf. Gv 1,5). “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). La venuta di Cristo dirada le tenebre e diffonde sul mondo la luce della bontà misericordiosa di Dio. “Nel mistero del Verbo incarnato – così recita il Prefazio di Natale I – è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili”. 
“Una notte luminosa come il giorno” (cf. Sal 139,12) ha annunciato la nascita del Salvatore. L’opera ammirabile della redenzione è iniziata nella simbologia della luce come quella della creazione. Nella Bibbia la luce è prima di tutto una parola: “Sia la luce! E la luce fu” (Gen 1,3). La luce del primo giorno è anteriore alla creazione degli astri luminosi, persino del Sole che compare solo al quarto giorno (cf. Gen 1,14-19). La luce del primo giorno della creazione ha, quindi, la sua origine in Dio e costituisce la condizione del manifestarsi della bontà di tutte le creature. Nella versione greca dei LXX si legge: “Dio vide che la luce era cosa bella” (cf. Gen 1,4). Bellezza e bontà si danno appuntamento nella luce, intimamente connessa alla vita: l’una figura dell’altra.
È nel mistero di Cristo che il fiat lux dell’alba della creazione raggiunge la massima intensità. La luce accompagna tutta la traiettoria di Gesù, a partire dalla stella che i Magi hanno visto spuntare (cf. Mt 2,1-2), dal “sole che sorge dall’alto” del cantico di Zaccaria (cf. Lc 1,78), “dalla luce per la rivelazione alle genti” del cantico di Simeone (cf. Lc 2,32). La stella o forse la congiunzione di pianeti che i Magi hanno inseguito nel loro cammino è il primo segno astronomico della nascita del Salvatore. La data del 25 dicembre, a ridosso del solstizio d’inverno, coincide con il giorno natalizio della luce. Proprio in questo frangente la tradizione cristiana ha posto il giorno della nascita della luce invitta; quest’anno la notte di Natale ha avuto il singolare privilegio di essere avvolta dal fascio di luce del plenilunio, che sempre inonda la celebrazione della Veglia pasquale.
Fratelli carissimi, non ha tregua la notte in cui è spuntata la stella, Cristo, “luce delle genti”! Non hanno più pace le tenebre da quando è sorto il “sole di giustizia”.  Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui “è apparsa la grazia di Dio”, l’infinita misericordia di Dio (cf. Tt 2,11). “Poteva esserci misericordia verso di noi infelici – si chiede sant’Agostino – maggiore di quella che indusse il Creatore del cielo a scendere dal cielo e il Creatore della terra a rivestirsi di un corpo mortale? Quella stessa misericordia indusse il Signore del mondo a rivestirsi della natura di servo, di modo che pur essendo pane avesse fame, pur essendo la sazietà piena avesse sete, pur essendo la potenza divenisse debole, pur essendo la salvezza venisse ferito, pur essendo vita potesse morire. E tutto questo per saziare la nostra fame, alleviare la nostra arsura, rafforzare la nostra debolezza, cancellare la nostra iniquità, accendere la nostra carità” (Sermo, 207,1).
Dio ha avuto l’infinita bontà di venirci incontro, anzi, di abitare in mezzo a noi. Giovanni Battista Montini così si esprimeva nell’omelia tenuta al pontificale del giorno di Natale del 1962: “Questo ci fa comprendere il Natale: l’apertura del cielo sopra di noi, e la discesa sul mondo del fiume della bontà, della carità di Dio. Ci svela il Natale come un amore, vero e vivo, infinito, che viene sopra di noi, in cerca di noi. Un amore che, da un lato, ci lascia totalmente liberi, anzi un amore che sveglia la nostra libertà a prendere coscienza di sé, a pronunciarsi, a scegliere; e, dall’altro, un amore che ci assedia, che ci assale, che ci tormenta, che ci inebria; un amore, in una parola, che ci vuole. Un amore che si fa piccolo e umile, per mettersi al nostro livello; un amore che si riveste di sembianze fraterne per poter colloquiare con noi”. 
Fratelli carissimi, l’incarnazione del Figlio di Dio nella disarmante semplicità di un bambino ha ispirato il canto corale del Gloria, il silenzio di Maria Vergine, il trasognato stupore dei pastori, la gioia grande dei Magi, la profezia pasquale di Simeone. Osservando i vari personaggi del presepio è grande il desiderio di unirsi ai pastori, “senza indugio”; essi sono giunti a Betlemme portando nel cuore l’eco del canto del Gloria, ma sono tornati a fare la guardia al loro gregge “glorificando e lodando Dio” per quanto hanno udito e non solo per quello che hanno visto (cf. Lc 2,20). Che cosa hanno udito? Il profondo silenzio di Maria! Ella, “mirabilmente unita al mistero della redenzione”, ha inserito nel canto del Gloria la pausa di silenzio della meraviglia. Nella “pienezza del tempo” Dio è entrato nel mondo varcando la “Porta santa, intatta ed inviolabile” del Cuore immacolato di Maria: “Porta felice del cielo”.
“Contemplando il presepe – raccomanda Papa Francesco –, fissiamo lo sguardo sulle braccia aperte di Gesù che ci mostrano l’abbraccio misericordioso di Dio”: Egli “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). Dinanzi a così grande mistero la Liturgia Ambrosiana acclama al Signore dicendo: “Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito, donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa” (Prefazio ambrosiano XV).

+ Gualtiero Sigismondi