Madonna del Pianto

10-01-2016
Festa della Madonna del Pianto, 2016

Fratelli carissimi, questo Santuario custodisce gelosamente la memoria di un popolo che sa che Maria è Madre di misericordia e che è stata e rimane accanto ai suoi figli e vicino alla storia di questa città. Varcando la soglia di questo Santuario, preso d’assedio dai Folignati, mi torna alla mente una lapidaria espressione del beato Paolo VI, custodita nello scrigno dell’enciclica Ecclesiam Suam: “È felicemente in fiore il culto alla Madonna oggi nella Chiesa”. Nonostante il grigiore dell’inverno spirituale, è felicemente in fiore nella nostra Diocesi il culto alla Madonna! Questa è la testimonianza più significativa che, ogni anno, ravviva in me la consapevolezza del dono grande di essere “collaboratore della vostra gioia” (cf. 2Cor 1,24).  
La festa della Madonna del Pianto è lo schiudersi della memoria di un popolo: è una forza evangelizzatrice che possiede nel suo interno un efficace antidoto davanti all’avanzare del secolarismo. Inserendomi in questo fiume in piena della pietà popolare mariana dei Folignati, che ha un altro gioiello prezioso nel Santuario di Rasiglia, col passare degli anni ho preso coscienza che questa devozione sa vedere riflesso sul volto di Maria il messaggio essenziale del Vangelo. Nella devozione alla Madonna del Pianto non c’è nulla di esagerato o di inutile. La Madonna che qui viene venerata è quella del Vangelo, non quella suggerita da umano sentire: è quella della Chiesa orante, non quella disegnata da sensibilità soggettive. Non è invocata come una Madre più misericordiosa dell’Agnello immolato. Non è guardata come una Donna irraggiungibile e perciò inimitabile, ma come “discepola della Parola” che è entrata per prima per la “porta stretta” della sequela di Cristo. Non è avvicinata come una “divinità” a cui ricorrere per ottenere grazie, ma è acclamata “beata” per aver creduto che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).
È questa fiducia in Dio che ispira il suo intervento a Cana di Galilea, ove la discrezione della sua presenza ad una festa di nozze è pari all’attenzione che riserva alla gioia grande degli sposi novelli (cf. Gv 2,1-12). La Madre di Gesù, accortasi che è venuto a mancare il vino, non informa colui che dirige il banchetto ma confida al Figlio suo il grave problema che si è venuto a creare. La risposta che riceve non è incoraggiante: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4). La Madre di Gesù non replica alle parole del Figlio suo ma affida ad una pausa di silenzio la sua intercessione. L’evangelista Giovanni non dice nulla su quell’incrocio di sguardi tra Gesù e la Madre sua, e tuttavia la richiesta che Ella presenta ai servitori – “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5) – è sostenuta dalla consapevolezza che il Signore si è lasciato sedurre dalle lacrime della sua incessante preghiera. Fissando gli occhi di sua Madre, Gesù viene disarmato dalla premura della sua sollecitudine materna. Questo incrocio di sguardi tra il Figlio e la Madre si rinnova sul Golgota, ove Gesù le consegna il “discepolo amato”: “Donna, ecco tuo figlio!” (cf. Gv 19,26).
Fratelli carissimi, a Cana le viscere materne di Maria hanno fatto sentire il battito del suo cuore materno, tenero e misericordioso. Misericordia è una parola che, nel Magnificat, risuona due volte sulle labbra di Maria. Come nel Magnificat Maria acclama Dio che “si ricorda” di noi nella sua misericordia, che si estende “di generazione in generazione” (cf. Lc 1,50.54), così nel Benedictus Zaccaria esclama che Dio “ha visitato e redento il suo popolo” con la tenerezza della sua misericordia (cf. Lc 1,72.78). Nel Vangelo di Luca c’è un “passaggio”, una sorta di “raccordo” tra il cantico di Maria e quello di Zaccaria, che annuncia la nascita di Giovanni Battista, proclamando che in Elisabetta si è manifestata la divina misericordia (cf. Lc 1,58), autentica epifania della tenerezza di Dio il quale ha reso fecondo il grembo di una donna sterile e “avanti negli anni”.
“Salve Madre di misericordia, Madre di Dio e Madre del perdono, Madre della speranza e Madre della grazia, Madre piena di santa letizia”. Nelle parole di questo antico inno – risalente a un autore ignoto e giunto fino a noi come una preghiera che sgorga spontanea dal cuore dei credenti – “trova sintesi la fede di generazioni di persone che, tenendo fissi i loro occhi sull’icona della Vergine, chiedono a Lei l’intercessione e la consolazione”. Quest’inno, richiamato da Papa Francesco in occasione dell’apertura della Porta Santa nella Basilica Papale di S. Maria Maggiore, faccia da colonna sonora all’incedere delle lacrime che accreditano la nostra preghiera. Quello delle lacrime è sempre e comunque il linguaggio non verbale di un cuore traboccante non solo di preoccupazione e dolore ma anche, e soprattutto, di amore e tenerezza. Quando le lacrime rigano il volto, la bocca non riesce a proferire parola e quasi trasferisce agli occhi la sua eloquenza. Tutti gli uomini naturalmente piangono, sin dal primo momento della nascita, ma il saper piangere è un dono che appartiene solo a pochi: unicamente ai cuori capaci di amare, di sentire compassione. “Amor est liquefactivus”, rileva S. Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae: le lacrime dell’amore sciolgono la durezza del cuore, lo rendono semplice e restituiscono luce agli occhi.
Fratelli carissimi, le lacrime esprimono i desideri più profondi dell’animo umano: quello di amare e di essere amati, quello di “sentire giusta compassione” per chi è bisognoso di aiuto, quello di immergersi nell’acqua viva della misericordia di Dio. Più volte Papa Francesco ci ha domandato: “Abbiamo mai pianto? Tu piangi? Hai imparato a piangere? Il pianto è nelle tue preghiere?”. Il Salmista ci ricorda che “chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia” (Sal 126,5) e ci assicura non solo che il Signore “raccoglie nel suo otre le nostre lacrime”, ma anche che “sono scritte nel suo libro” (cf. Sal 56,9). Fratelli carissimi, è Maria a compiere quest’opera redazionale! Ella, che a Cana di Galilea ha affidato al linguaggio non verbale delle lacrime la sua ardente supplica, ci insegna che il “magistero del pianto” rende lucidi, umidi, persino gli occhi di Dio il quale, dinanzi alle nostre necessità, continua a ripetere quello che ha suggerito al profeta Geremia di riferire al popolo d’Israele: “I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare” (Ger 14,17).

+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno