Scrivo questo editoriale nella confusione di un aeroporto. Precisamente a New York. Dopo una settimana intensa di missione su richiesta dei vescovi americani che hanno voluto indire un triennio di “revival” eucaristico offrendo ai giovani, come testimonial, il beato Carlo Acutis. Di qui la reliquia preziosa che ho consegnato loro e che mi ha coinvolto in una serie di incontri che mi hanno davvero impressionato. Soprattutto quelli con i giovani.
Anche qui, dall’altra parte dell’Atlantico, lo scenario è quello di un mondo che diventa sempre più piccolo, nonostante i grattacieli di questa metropoli e le dimensioni del paesaggio americano in cui tutto tende ad essere “big”, grande. A volte fino a farti sentire perso, come nel traffico che ti frastorna e ti sommerge. Ma quando poi incontri le persone, una per una, e hai il piacere di scambiare una parola, emerge il fondo comune della nostra umanità. E non soltanto i problemi che riempiono la comunicazione, dalla pandemia con i suoi colpi di coda (speriamo gli ultimi) alla guerra in Ucraina che anche qui si sente così vicina. I problemi che più ti colpiscono, in definitiva, sono quelli che sperimentiamo ogni giorno. Quelli che hanno a che fare con il nostro lavoro, la salute, la famiglia…Quante benedizioni mi hanno chiesto! A New York come a Foligno, scava scava, trovi gli sguardi di una umanità che si interroga, alla ricerca di un senso e di una speranza. Dopo due anni di pandemia e tante settimane – davvero troppe! – di una assurda guerra, ci si chiede dove va il mondo. E chi lo sa indovinare? Un senso generale di disorientamento incombe sulla nostra cultura. Il contrasto tra le mirabolanti conquiste della tecnologia e la precarietà della nostra umanità è sempre più marcato. In questo paesaggio in chiaroscuro la Pasqua viene a dare il suo messaggio di speranza. Il Venerdì Santo della passione sfocia nella luce della risurrezione. Non è solo un recupero psicologico di ottimismo che pur ci è necessario per non soccombere alla depressione. È una verità che, da credenti, dobbiamo riabbracciare e testimoniare con piena convinzione. L’apostolo Paolo scrisse ai cristiani di Corinto: se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede. Duemila anni di storia cristiana sono scaturiti da questo evento che immise nella storia un’energia di salvezza che non ha perso nulla della sua forza. Tocca a noi cristiani di oggi – troppo stanchi e abitudinari, e pertanto responsabili di un declino storico del cristianesimo – ripartire da quello slancio originario, tornando a quelle pagine evangeliche che ce lo testimoniano e ci fanno passare dalla disperazione dei due discepoli di Emmaus alla loro scoperta che il Risorto era al loro fianco e riprendeva a dare senso alla loro vita.
+ Domenico, vescovo