Anniversario della Dedicazione della Cattedrale 2015

20-09-2015
Festa della dedicazione della Cattedrale di San Feliciano, 20 settembre 2015 
 
Fratelli carissimi, la nostra cattedrale è simbolo suggestivo della storia di fede di un popolo, di un’appartenenza, di un’identità, di un futuro. La cattedrale di San Feliciano è posta non solo all’incrocio delle strade della nostra città, ma sul crinale tra memoria e profezia, ad orientare il nostro cammino lungo la strada che dalla Pentecoste conduce alla Parusia. La cattedrale è metafora di una Chiesa ostinatamente decisa a “camminare insieme”, tenendo fisso lo sguardo su Gesù (cf. Eb 12,2). Ogni volta che celebriamo la festa della dedicazione della cattedrale ci viene richiamata una verità essenziale: il tempio materiale è segno evocativo della Chiesa viva e operante nella storia, cioè di quel “tempio spirituale” di cui Cristo è la “pietra d’angolo” (cf. Ef 2,19-22), “rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio” (cf. 1Pt 2,4-8). 
Una settimana fa, partecipando ad una ordinazione episcopale, ho avuto modo di sperimentare, con rinnovato stupore, che la Chiesa è fatta non di mattoni ma di pietre vive. Il rito si è svolto all’interno di una struttura denominata Palafiera: al mio ingresso, prima della celebrazione, ho provato un po’ di disagio nel vedere il risultato di un allestimento liturgico realizzato in un ambiente abituato ad ospitare eventi e parole di ben altra natura. E tuttavia, sin dai primi passi della processione d’ingresso, mi sono dovuto ricredere; infatti, al sentire migliaia di fedeli eseguire all’unisono un canto liturgico molto noto, Noi canteremo gloria a te, ho avvertito che quel grande anfiteatro stava diventando un cenacolo, uno spazio sacro, una casa di preghiera per una grande folla. Un raggio di sole, filtrato da una botola utilizzata come presa d’aria, ha seguito l’intera celebrazione come un faro acceso direttamente dal cielo.       
Il brano evangelico ci ha ricordato che non sono i mattoni a fare di un tempio la casa di Dio, ma le pietre vive dei fedeli. In occasione della festa della Pasqua ebraica, Gesù si reca a Gerusalemme (cf. Gv 2,13-22). Giunto al tempio, non trova gente che cerca Dio ma persone che fanno i propri affari: i mercanti di bestiame per l’offerta dei sacrifici; i cambiamonete, i quali scambiano denaro “impuro” recante l’immagine dell’imperatore con monete approvate dall’autorità religiosa per pagare la tassa annuale del tempio. Questo commercio provoca l’energica reazione di Gesù, che con una frusta di cordicelle scaccia tutti fuori dal tempio. Egli rovescia i banchi dei cambiamonete, getta a terra il denaro e allontana i mercanti dicendo loro: “Non fate della casa del Padre mio un mercato!” (Gv 2,16). Con questo severo monito il Signore non biasima soltanto i traffici che si praticano nei cortili del tempio, ma anche un tipo di religiosità che non tocca il cuore (cf. Is 1,10-20; Ger 7,2-11). Lo zelo di Gesù irrita i Giudei, ai quali Egli annuncia la sua passione (cf. Gv 2,19), indicando nel proprio corpo il nuovo tempio che, nell’obbedienza alla morte di croce, verrà dedicato a Dio per sempre e, con la risurrezione, diventerà il “trono della grazia” (cf. Eb 4,16).  
La Chiesa, “corpo di Cristo e tempio vivo dello Spirito”, è la casa in cui Dio fissa l’appuntamento per tutti gli uomini con la sua infinita misericordia. Il grande cantiere di questa casa di preghiera, edificata sulla roccia della fede di Pietro (cf. Mt 16,16), è quello dell’evangelizzazione; si tratta di un cantiere da allestire senza perdersi in sterili lamenti o inutili sogni pastorali. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium Papa Francesco sollecita la Chiesa a costruire ponti, non muri, eseguendo, mediante la sonda del dialogo, una delicata opera di trivellazione o di penetrazione. Il dialogo, parola-ponte, parola che crea ponti – come suggerisce l’etimo stesso del vocabolo – è lo strumento fondamentale dell’evangelizzazione.
Per eseguire questa opera di penetrazione è urgente rinforzare il ponte tra liturgia e vita, tra preghiera e azione, tra gesti e parole. Non sta sulla torre di vedetta della preghiera chi non sa collocarsi all’incrocio con la realtà delle periferie esistenziali. “La contemplazione che lascia fuori gli altri – avverte Papa Francesco nella Evangelii gaudium – è un inganno”. “Stare con l’orecchio nel cuore di Dio e con la mano nel polso del tempo”: questa è la “regola pastorale” da osservare, intercettando in ogni dimensione umana un’attesa che la speranza cristiana è chiamata ad allargare. 
Per compiere questa opera di trivellazione non serve moltiplicare le strutture pastorali: ne occorrono di meno e più leggere, flessibili, essenziali; è necessario, piuttosto, maggiore respiro e audacia nella messa a sistema degli organismi di partecipazione. La debolezza del funzionamento di questi strumenti pastorali, nonostante l’impegno sostenuto sin dalla stagione del Sinodo diocesano, è sintomo del fatto che il ponte tra ministri ordinati e fedeli laici è interrotto o ridotto ad un ponte levatoio. All’inquietante segno di questo letargo sinodale si aggiunge quello dell’embargo spirituale che tiene lontano i fedeli laici dall’impegno politico.
Per eseguire questa opera di penetrazione è necessario non alzare il muro di cinta dei confini delle parrocchie e nemmeno della nostra diocesi. Ben sapendo che è la storia a scrivere la geografia, è giunto il tempo di affrontare senza pregiudizi, come raccomanda Papa Francesco, la questione del riordinamento delle diocesi italiane, facendo “memoria del futuro”. Se i tempi non sono maturi per discernere se, nella nostra diocesi, il ponte occorre progettarlo lungo il tracciato della Flaminia o della SS 75 Centrale Umbra, i segni dei tempi indicano che la Chiesa “in uscita missionaria” non ha confini da difendere o territori da occupare ma una maternità da allargare.
Fratelli carissimi, a nulla servirebbe costruire ponti se osassimo pensare di poter fare a meno del “cemento della concordia”. Il Giubileo della misericordia sia momento favorevole per abbattere il muro dell’inimicizia (cf. Ef 2,14), aprendo una breccia nei nostri cuori con questa invocazione: “Fa’, o Signore, che la Chiesa si rinnovi nella luce del Vangelo. Rafforza il vincolo di unità fra i laici e i presbiteri, fra i presbiteri e il vescovo, fra i vescovi e Papa Francesco: in un mondo lacerato da discordie la tua Chiesa risplenda segno profetico di unità e di pace”.
 
+ Gualtiero Sigismondi