Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – Rito di ammissione agli Ordini degli alunni del Pontificio Seminario Romano Maggiore

23-11-2019

Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo – Seminario Romano Maggiore, 23 novembre 2019

Nella Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo la Liturgia pone dinanzi ai nostri occhi l’icona della Croce (cf. Lc 23,35-43): “albero fecondo e glorioso, bilancia del grande riscatto, talamo, trono e altare”. La Croce è il talamo delle nozze pasquali dell’Agnello, è il trono dal quale Cristo regna glorioso, attraendo tutti a sé. Dall’altare della Croce, “cattedra del comandamento nuovo”, sono scaturiti “sangue ed acqua”, simboli del Battesimo e dell’Eucaristia (cf. Gv 19,33-34), fonti perenni della Chiesa. L’icona più luminosa della Chiesa in uscita missionaria è il Cuore aperto di Cristo Gesù, “sorgente inesauribile”.
All’ombra della Croce “il popolo stava a vedere” (Lc 23,35a), accecato non tanto dalla curiosità, quanto dall’indifferenza, che è la maschera più odiosa della durezza di cuore. Ai piedi della Croce i capi del popolo intonano l’antifona della derisione: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto” (Lc 23,35b). I soldati si uniscono al coro degli scherni (cf. Lc 23,36-37), ignari della dignità regale di Cristo, ma soprattutto privi di quella sensibilità che non fa mancare a chi soffre un moto di pietà. Accanto alla Croce c’è un malfattore che insulta il Signore (cf. Lc 23,39), rendendogli ancora più amaro il calice della Passione. Dall’altra parte c’è un altro malfattore, il quale, dopo aver offerto a Gesù l’omaggio della solidarietà (cf. Lc 23,40-41), gli domanda di essere ricordato in cielo. A quest’uomo, che non osa chiedere al Signore di riservargli un posto nel Regno, viene assicurato il Paradiso (cf. Lc 23,42-43).
Con la promessa fatta al “buon ladrone” il Signore risponde non ad una raccomandazione, ma ad un’invocazione, mostrando quanto sia grande la forza di attrazione che Egli esercita dal trono della Croce. Se Giovanni, il “discepolo che Gesù amava”, chinandosi sul petto del Signore (cf. Gv 13,25) ha auscultato il battito cardiaco del Maestro, il “buon ladrone” ha sentito nel respiro di Cristo Crocifisso l’eco delle “fibrillazioni” di un cuore “mite e umile” (cf. Mt 11,29). È dalla “fornace”, dal “roveto ardente” di un cuore dilatato dall’amore che il “buon ladrone” riceve la promessa del suo definitivo “trasferimento”: “Oggi con me sarai in Paradiso” (Lc 23,43). L’immagine del “trasferimento” – evocata da san Paolo (cf. Col 1,13) –, mentre traduce le parole dette da Gesù al “buon ladrone”, esprime il potere regale che Cristo Gesù esercita sul peccato e sulla morte: “Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti” (Col 1,18).
È sul trono della Croce che Cristo Signore manifesta la propria dignità regale di “Agnello immolato”. È dal trono della Croce che Egli rivela lo “splendore di bellezza” del suo volto “sereno e benigno” di “Servo sofferente”. Egli è Re perché Servo; la sua signoria è quella del servizio, del dono totale di sé come riscatto, come redenzione per molti. “Il criterio della grandezza e del primato secondo Dio non è il dominio, ma il servizio”.
La fede si pesa sulla “bilancia” della Croce, che ha come “ago” la rinuncia a se stessi e come “unità di misura” il dono della propria vita. Figli carissimi, nell’accingermi a compiere il rito dell’ammissione tra i candidati all’Ordine sacro, vi ricordo che “è ormai giunto il momento di rendere noto il vostro desiderio di dedicarvi al servizio di Dio e del suo popolo, perché venga ratificato dalla santa Chiesa”. Nel dispormi ad accogliere il vostro proposito, vi raccomando di servire il Signore con “lealtà e purezza di spirito”: la lealtà della vigilanza su voi stessi e l’entusiasmo sincero di un cuore libero e ardente. Tenete bene a mente che “ogni ministero ecclesiale è sempre risposta ad una chiamata di Dio, non è mai frutto di un proprio progetto”. Di questo dà testimonianza Davide: ancora giovane – ce lo ha ricordato l’autore della prima lettura (cf. 2Sam 5,1-3) – si trova ad essere guida del popolo di Dio non per propria ambizione ma per vocazione, per chiamata.
“Dio che ha iniziato in voi la sua opera, la porti a compimento”: questa formula di benedizione, che pronuncerò tra qualche istante, la ascolterete di nuovo, a Dio piacendo, il giorno della vostra ordinazione diaconale e presbiterale. Si tratta di una formula che, oggi, sigilla il “prologo” del vostro Eccomi, da proclamare sine glossa, senza l’ipoteca del ma o la riserva del però, come hanno fatto Gesù sul Golgota e Maria a Nazaret. L’Eccomi di Cristo (cf. Eb 10,7) è annunciato dal Fiat di Sua Madre (cf. Lc 1,38): entrambi si rispecchiano l’uno nell’altro e formano un unico Amen alla volontà di Dio. Il Fiat dell’Annunciazione, sigillato dal Magnificat della Visitazione, non è un evento concluso una volta per tutte, ma è un progetto che ci riguarda e ci ricorda che “dove c’è lo Spirito c’è libertà” (2Cor 3,17), e dove c’è libertà da se stessi c’è gioia grande.
Figli carissimi, non dimenticate che prepararsi con animo gioioso e generoso ad esercitare il santo ministero nella Chiesa significa diventare “servi inutili” (cf. Lc 17,10), che non cercano il proprio utile, come un fiammifero che, consumandosi, adempie alla sua funzione. Tenete bene a mente quanto osserva Papa Francesco: “Un’insufficiente capacità relazionale e una carente passione apostolica costituiscono una seria controindicazione vocazionale”. Fate tesoro di quello che scriveva san Paolo VI, il 5 marzo 1967, nel Messaggio per la IV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: “Sapete che la chiamata del Signore è per i forti; è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante; è per quelli che ancora conservano il senso del Vangelo e sentono il dovere di rigenerare la vita ecclesiale pagando di persona e portando la croce?”. Ribelli alla mediocrità: questo sia per voi un proposito sincero, anzi, promessa di fedeltà.
“Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme” (Sal 122,2): questo grido – noto ai pellegrini che salivano al tempio e risuonato in questa celebrazione – è adatto a esprimere la vostra trepidazione, a interpretare l’esultanza delle vostre famiglie e la gioia delle comunità che vi hanno educato nella fede della Chiesa. L’intercessione di Maria, Serva del Signore, vi faccia bella e buona la strada. “I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!” (Rm 11,29).

+ Gualtiero Sigismondi