Solennità di San Costanzo, Patrono di Perugia – Perugia, Cattedrale Metropolitana di San Lorenzo

29-01-2014


Solennità di San Costanzo ‘ Perugia, 29 gennaio 2014


 


‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici’ (Gv 15,13). Quando si ascolta questo insegnamento del Maestro si osa ritenere che possa esistere un amore ancora più grande: quello per i propri nemici. Come mai Gesù afferma che non esiste un amore più grande di ‘dare la vita per i propri amici’? In realtà, nel lessico dell’amore non c’è posto per il termine nemico e nemmeno per la parola servo, ma c’è spazio solo per i termini fratello e amico. Tutto è essenziale ‘ anche il vocabolario! ‘ nei cuori di coloro che fibrillano di quell’amore che non teme di donare tutto, persino la propria vita. La solennità del Patrono, san Costanzo, è occasione preziosa per riflettere sulla semplicità, che è una virtù che appartiene al ‘corredo’ dei martiri. Non c’è niente di più docile di un cuore semplice, dilatato dal desiderio di donare la vita per il Vangelo e infiammato dalla consapevolezza che ‘Dio ama chi dona con gioia’ (2Cor 9,7), perché Lui stesso ‘dona a tutti con semplicità e senza condizioni’ (Gc 1,5).


Fratelli carissimi, la semplicità è la beatitudine più grande del cuore umano. Nella letteratura biblica il termine semplice assume il significato di perfezione, integrità, innocenza, sincerità, autenticità; il pio israelita dichiara di volersi donare a Dio integralmente, senza secondi fini, con cuore semplice. (cf. Sal 101,2; 118,80). Nella Scruttura, inoltre, il termine semplice è riferito non solo al cuore ma anche all’occhio: ‘La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso’ (Mt 6,22). La docilità di un cuore semplice si riflette, dunque, nella luminosità dello sguardo e, allo stesso tempo, la semplicità dello sguardo dilata il cuore. ‘L’occhio e il cuore ‘ scrive A. Gentili ‘ si richiamano a vicenda; svolgono nel corpo una funzione correlata, in stretta interdipendenza: quello che contempla l’occhio lo passa al cuore e ciò che è puntualizzato dal cuore viene a riflettersi limpidamente sull’occhio’.


La semplicità è sinonimo di schiettezza, di trasparenza. Semplice viene dal latino sine plica, che significa ‘senza piega’, cioè senza zone oscure, nascoste, equivoche. Semplicità è sinonimo di innocenza, quella di un bambino. Dio stesso ha scelto la disarmante semplicità di ‘un bambino avvolto in fasce’ per venire ‘ad abitare in mezzo a noi’. ‘Il segno di Dio ‘ scriveva Benedetto XVI ‘ è la semplicità’. Spirito d’infanzia e semplicità, dunque, si richiamano a vicenda: la semplicità non è virtù infantile, ma è piuttosto infanzia ritrovata. Pertanto, non va confusa con l’ingenuità; ciò che impedisce che degeneri è il fatto che essa è sempre coniugata alla virtù della prudenza: ‘Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe’ (Mt 10,16). San Gregorio Magno scrive, nel suo Commento al Libro di Giobbe, che Cristo ‘ha unito necessariamente l’una e l’altra cosa nel suo ammonimento, in modo che l’astuzia del serpente ammaestri la semplicità della colomba, e la semplicità della colomba moderi l’astuzia del serpente’.


‘La semplicità ‘ afferma Romano Guardini ‘ è valore sommo, ma non significa semplicioneria. Essa è meta lontana’. La semplicità è armonia, essenzialità, limpidezza, trasparenza, onestà. Semplicità è oblio di sé e dominio di sé; suoi opposti sono il narcisismo, la presunzione, la doppiezza, l’ipocrisia. La semplicità è, infatti, la virtù di chi è libero dall’amor proprio e si riconosce legato a Dio solo. ‘Chiunque tende alla patria eterna ‘ sottolinea san Gregorio Magno ‘ vive indubbiamente con semplicità e rettitudine: è semplice cioè nell’operare, retto nella fede; semplice nel bene materiale che compie, retto nei beni spirituali che percepisce nel suo intimo. Vi sono infatti certuni che non sono semplici nel bene che fanno, poiché ricercano in esso non la ricompensa all’interno, ma il plauso all’esterno’. La semplicità è, dunque, segno di unità interiore e strumento di comunione fraterna (cf. Ef 6,5; Col 3,22). Un cuore semplice è un cuore unito (cf. Sal 86,11; Ger 32,39), nobile, aperto all’amore di Dio e del prossimo.


Semplicità e nobiltà sono due termini apparentemente distanti e tuttavia profondamente vicini: indicano quale sia il patrimonio genetico della santità. Niente vi è di più nobile della semplicità evangelica e, al contempo, niente vi è di più semplice della nobiltà della vita in Cristo. Sorella Maria, dell’Eremo francescano di Campello sul Clitunno, si chiedeva: ‘Che cosa è la semplicità? È il fare a meno di tutto ciò che non è l’unum necessarium (‘). Perché ‘ domandava alle sorelle ‘ non siamo semplici? Perché ci mancano il coraggio e l’umiltà (‘). Noi siamo insieme per semplificare tutto’. Illuminante, al riguardo, è la testimonianza resa da Giovanni XXIII il quale confidava: ‘Più mi faccio maturo di anni e di esperienze e più riconosco che la via più sicura è la semplicità’. A giudizio di Papa Roncalli, semplicità è assenza di sovrastrutture, di cerimoniali, di decorazioni, di orpelli che appesantiscono l’esistenza. Semplicità è cercare Dio nella molteplicità delle occupazioni, nel groviglio dei desideri, nel conflitto delle interpretazioni. Semplicità è dire soltanto una parola: ‘Gesù Cristo e questi crocifisso’ (cf. 1Cor 2,2). Semplicità è scoprire nella preghiera del Padre Nostro le parole essenziali della fede. Semplicità è riconoscere che ‘solo Dio basta’: ‘Lui solo è la nostra forza’!


La ‘santa semplicità’ ‘ così la chiama Tommaso da Celano riferendola a san Francesco ‘ è una virtù che diventa beatitudine quando, oltre ad essere gemellata con la prudenza, è associata all’umiltà. Semplicità e umiltà, combinate assieme, rendono irreprensibili e puri (cf. Fil 2,14), cioè liberi e lieti di non tenere nulla per sé, nemmeno la propria vita. Fratelli carissimi, ‘si possiede solo quello che si dona’: questa è la ‘misura alta’ dell’amore adottata da san Costanzo! Celebrando la sua festa gli domandiamo di ottenerci dal Signore di ravvivare in noi la ‘dolce e confortante gioia d’evangelizzare’ con un cuore credente, generoso e semplice, capace di vedere l’essenziale, di guardare lontano, oltre le contingenze, ma soprattutto dentro le circostanze, ‘senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza’.


+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno