Messa Crismale 2015

01-04-2015
Messa crismale, 1° aprile 2015
 
            La Messa crismale, “quasi epifania della Chiesa”, ravviva la consapevolezza di essere membra del Corpo di Cristo “organicamente strutturato nei vari ministeri e carismi”. Questa liturgia, autentico “portico” del Triduo pasquale, ci presenta Gesù nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16-21). Egli, dopo essersi alzato a leggere il passo del profeta Isaia che abbiamo appena ascoltato (cf. Is 61,1-3a), con gli occhi di tutti fissi su di Lui (cf. Lc 4,20) comincia a dire: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura” (Lc 4,21). Grande è lo stupore dei presenti i quali, essendo a corto dell’olio di letizia della meraviglia, vedono spegnersi la “lampada della gratitudine”; anzi, pieni di sdegno, cacciano Gesù fuori della città per gettarlo giù dal monte, ma Egli, passando in mezzo a loro, si mette in cammino verso Gerusalemme (cf. Lc 4,29-30). Questa è la prima stazione della Via Crucis!
            Fratelli carissimi, che oggi condividete con me la gioia di vedere raccolti i presbiteri diocesani e religiosi attorno all’altare della nostra Cattedrale, vi esorto a pregare per noi ministri ordinati, perché l’olio di letizia della meraviglia per il dono ricevuto con l’imposizione delle mani alimenti incessantemente la “lampada della gratitudine”, sempre esposta al rischio di spegnersi. Episcopato, presbiterato e diaconato sono, per così dire, gli “oli santi” con i quali Dio continua ad ungere di grazia coloro che egli chiama a guidare, pascere e servire il suo popolo. Questo appuntamento liturgico offre ogni anno a noi ministri ordinati non solo l’occasione propizia di rinnovare le promesse sacerdotali, ma anche l’opportunità di ravvivare il nostro ministero con il profumo intenso e delicato di una vita santa, perché il Signore “ci ha consacrato con l’unzione” e ci ha mandato come “servi premurosi” a nutrire il suo popolo con la Parola e a santificarlo con i Sacramenti.
Per cogliere il significato profondo del sostantivo “servo” occorre prestare attenzione all’aggettivo che lo qualifica: “premuroso”. È premuroso quel servo a cui sta a cuore la salvezza delle anime e a servizio di questa missione pone tutta la sua attività pastorale e sulle esigenze della medesima calcola il valore di ogni istituzione e azione. È premuroso quel servo che ha la parresia di “discutere con Dio”, di intercedere in favore del suo popolo come Abramo e come Mosè. È premuroso quel servo che “nel proprio ministero vede solo l’adempimento della volontà di Dio ed il servizio disinteressato alla Chiesa”: cioè “ha sempre davanti il bene della Chiesa e non se stesso”, ha la forza di sapersi spogliare dell’attaccamento che ognuno prova per se stesso, è capace di “privarsi di sé”. È premuroso quel servo dal cuore grande, dalla mente aperta e dallo sguardo sereno, che non è un “pastore di retroguardie”, ma guida sicura che non rimprovera e ammonisce per farsi seguire, ma che precede e affascina con la testimonianza del suo esempio, che insegna e ammaestra con il suo orante silenzio. È premuroso quel servo che sa inginocchiarsi quotidianamente davanti a Dio e ai fratelli avendo come dono di natura il non saper ostentare.
È premuroso quel servo che ha il coraggio del confronto e del dialogo con tutti, il rispetto delle differenze, la pazienza di camminare insieme, l’umiltà di riconoscere i propri errori, la disponibilità a obbedire, “un senso dell’umorismo che non consenta alle piccole cose di diventare enormi solo perché vi si investono attese sproporzionate”. È premuroso quel servo che sa essere semplice, umile, libero, cioè capace di sostenere “il confronto delle idee senza impazienza, la discussione senza amarezza, l’ammonimento senza asprezza, l’esortazione senza offesa”. È premuroso quel servo che nel compiere le parti anche dure del proprio compito o ufficio è sempre in grado di sopportare con amore ogni avversità e ha la pazienza di “rimandare indietro i giudizi negativi che la fretta vorrebbe introdurre con reazioni immediate”. È premuroso quel servo che custodisce in silenzio la serena fiducia che il Signore sa ricavare il bene da tutto.
È premuroso quel servo la cui integrità umana assicura la capacità di relazioni sane, equilibrate, senza secondi fini. È premuroso quel servo che sa promuovere la comunione ecclesiale e coltivare la fraternità sacramentale, poiché ha ben chiaro che la chiamata al sacerdozio ministeriale è “vocazione all’appartenenza al presbiterio attorno al vescovo”. È premuroso quel servo la cui preparazione culturale gli permette di dialogare con tutti, la cui ortodossia e fedeltà alla verità, custodita dalla Chiesa, lo rende una colonna e un punto di riferimento. È premuroso quel servo la cui disciplina interiore ed esteriore lo dispone a vigilare su se stesso e lo abilita a guidare i fratelli con mite fermezza, sapendo mediare. È premuroso quel servo la cui trasparenza e il cui distacco nell’amministrare i beni temporali conferiscono autorevolezza e raccolgono la stima di tutti.
Fratelli carissimi, Papa Francesco più volte ha sottolineato con forza che è premuroso quel servo che “mai rinuncia all’ansia che l’olio dello Spirito di santità arrivi fino all’ultimo lembo della veste della Chiesa”. È premuroso quel servo che non ha paura di uscire, di percorre le vie del mondo senza assorbirne la malizia. “Per essere all’altezza di questo compito – osserva Papa Bergoglio – occorrono testimoni che siano in grado di camminare nella notte, di saper dialogare e anche scendere nel buio senza perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti senza farsi sedurre; di accogliere le delusioni senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità”.
Fratelli carissimi, la liturgia della Settimana santa – prima di invitare i fedeli a rinnovare le promesse battesimali nella Veglia pasquale – chiama i ministri ordinati a rinnovare le promesse sacerdotali nella Messa crismale. L’autorevolezza della testimonianza di un vescovo, di un prete o di un diacono non è data dalla somma algebrica delle sue virtù, ma dal “crisma” della meraviglia che alimenta la “lampada della gratitudine”! Se con il passare degli anni cresce lo stupore per il dono ricevuto con l’imposizione della mani, aumenta pure la meraviglia per la fragilità del “vaso di creta” in cui tutti portiamo il mistero!
+ Gualtiero Sigismondi