Esequie di mons. Mario Sensi

27-05-2015

Esequie di mons. Mario Sensi – Cattedrale di San Feliciano, 27 maggio 2015

    Il Signore, che “dispone i tempi del nascere e del morire”, ha chiamato mons. Mario Sensi a varcare la soglia della vita oltre la morte nella memoria liturgica di san Gregorio VII; oso immaginare che questo grande Papa riformatore, che nell’XI secolo ha iniziato a scrivere una pagina nuova nella storia della Chiesa, abbia atteso don Mario sulla porta del cielo e abbia seguito da vicino l’iscrizione del suo nome nel “Libro della Vita”.

    Fratelli carissimi, nessuna esperienza è così universale e drammatica come il morire. La commozione, il turbamento e il pianto sono sentimenti che disegnano la risposta umana di Gesù di fronte al dolore per la morte dell’amico Lazzaro (cf. Gv 11,33-36). Quando scompare una persona cara, la commozione, il turbamento e il pianto rendono irresistibile la tentazione di volgere lo sguardo al passato, ma la fede pasquale ci autorizza a guardare avanti e ci ripete: “Sursum corda!”. L’ultima parola autorevole sulla morte è la risurrezione di Cristo! Il giorno di Pasqua, quando ho celebrato il Pontificale con accanto don Mario, Priore del Capitolo della Cattedrale, ho osato dire: “La morte, sfacciata, a Pasqua ha perso la faccia: il diritto di dire l’ultima parola!”.

Le letture proclamate sono quelle che la liturgia odierna ci consegna: in esse troviamo la luce necessaria per vivere nella fede questo congedo. Il brano tratto dal Libro del Siracide è una preghiera del genere delle “benedizioni”: la confessione della grandezza di Dio si unisce alla supplica, perché Egli si manifesti alle nazioni attraverso un intervento prodigioso: “Abbi pietà di noi, Signore, Dio dell’universo, e guarda, mostraci la luce della tua misericordia, infondi il tuo timore su tutte le nazioni” (Sir 36,1-2). Questa invocazione lascia intendere che “la storia è il luogo dove Dio parla al suo popolo”. È, infatti, sulle righe più o meno diritte della storia dell’umanità e della Chiesa che il Signore non esita a scrivere, ricavando il bene da tutto. Quanto questo sia vero, don Mario l’ha scoperto frequentando con entusiasmo sincero la micro e la macro storia, lasciandoci questa lezione: è indispensabile leggere la storia locale nel più vasto contesto della storia universale, poiché la trama della storia locale si inserisce nell’ordito della storia universale. La passione per la ricerca storica, che ha spinto don Mario a riesumare dalla polvere degli archivi tanti documenti, dando voce a personaggi considerati minori, era illuminata dalla certezza che bisognerebbe attendere la fine della storia per avere tutto il materiale necessario per determinarne il significato, per poter abbracciare ogni avvenimento con lo sguardo dell’insieme.   

    Fratelli carissimi, nel brano evangelico appena proclamato abbiamo inteso la terza profezia della Passione (cf. Mc 10,32-45). I discepoli rimangono turbati dalle drammatiche prospettive che, sempre più chiaramente, si profilano davanti ai loro occhi. Giacomo e Giovanni si affannano a prenotare i primi posti nel Regno dei cieli, mentre gli altri discepoli si indignano con loro. Gesù li richiama tutti all’ordine dicendo: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti” (Mc 10,43-44). Queste parole suggeriscono la chiave di lettura della vita sacerdotale di don Mario; egli, consapevole che l’obbedienza passa sempre attraverso le mediazioni umane, non ha cercato di occupare i primi posti ma si è preoccupato di mantenere una costante tensione armonica tra il ministero pastorale, specialmente nella parrocchia di Colfiorito, e la passione per gli studi storici che gli hanno fatto meritare una delle più prestigiose cattedre della Lateranense. Egli ha frequentato Roma per ragioni di studio e di insegnamento: non per salire le scale dei palazzi, ma per entrare negli archivi, con i quali ha iniziato a prendere confidenza nelle canoniche dell’Appennino umbro-marchigiano.

    “L’archivio era la sua casa”: questa è la testimonianza che mi ha reso uno dei tanti studiosi che oggi gli rendono omaggio e che hanno preso parte con mons. Sensi al concerto degli scambi intellettuali, entrando in dialogo fiducioso e in amicizia sincera con lui. Ora però, don Mario carissimo, la tua “casa” è il cielo, oserei dire la “Santa Casa miraculose fundata”, per richiamare il titolo di una delle ultime imprese della tua ampia e prestigiosa produzione scientifica. Sant’Angela da Foligno e la schiera di santi e beati che ti hanno avuto in sorte come “ricercatore” e come “consultore” presso la Congregazione delle cause dei santi, siano i “postulatori” del tuo transito dal paragrafo della storia al capitolo dell’eternità.  

+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno