Anniversario della Dedicazione della Cattedrale 2016 – Ordinazione diaconale di don Simone Marchi

25-09-2016
Festa della dedicazione della Cattedrale di San Feliciano, 25 settembre 2016
“I cieli dei cieli non possono contenerti, Signore, tanto meno questa casa!” (1Re 8,27). Ci viene incontro, nell’odierna festività della dedicazione della Cattedrale di San Feliciano, il grido di fede che, davanti all’altare e di fronte all’assemblea d’Israele, risuona sulle labbra di Salomone: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra?” (1Re 8,27). Questa domanda attraversa come un brivido la nostra assemblea che la liturgia conduce, in spirito, nel tempio di Gerusalemme, ove Gesù, in prossimità della festa di Pasqua, sferza i venditori di animali e i cambiavalute che hanno fatto un mercato della casa di Dio (cf. Gv 2,13-25). Il gesto di Gesù desta grande impressione fra i discepoli, che lo commentano con le parole del Salmista: “Mi divora lo zelo per la tua casa” (69,10). 
L’indignazione di Gesù non è dettata dalla collera, ma dallo zelo che, come fuoco divorante, infiamma il suo cuore “mite e umile” (cf. Mt 11,29). Lo zelo di Gesù, “per noi uomini e per la nostra salvezza”, si manifesta nella sua obbedienza “fino alla morte e a una morte di croce” (cf. Fil 2,8). L’amore di Gesù, “fino alla fine” (cf. Gv 13,1), è il sigillo di garanzia del suo servizio diaconale, di cui oggi viene reso partecipe Simone Marchi mediante il dono dello Spirito santo, il quale lo rende immagine di Cristo, “Servo obbediente”, “che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). 
Servire e dare la propria vita: questo è il “protocollo” che Gesù ha osservato fedelmente, testimoniando che il dono di sé è il sigillo di garanzia della diaconia. Invano dichiara di essere “servo indegno” chi non sa accreditarsi come “servo inutile” (cf. Lc 17,10), chi si spende generosamente ma non osa donarsi gratuitamente, chi si consuma nel compiere molti servizi senza dedicare a Dio il proprio cuore e consegnare ai fratelli il proprio tempo. L’unità di misura della diaconia è determinata dal tempo che si investe nelle opere di misericordia spirituale e corporale. “La Chiesa – avverte Papa Francesco – non ha bisogno di ministri del culto a tempo e responsabilità limitata ma di missionari appassionati, che non hanno un’agenda da difendere”. 
La liturgia quando parla dei ministri ordinati li definisce “servi premurosi del popolo di Dio”, e tuttavia largamente condivisa è l’opinione che i fedeli laici siano “dipendenti” o “clienti” del clero. “Noi – lamentava Yves Congar in un’opera dal titolo Pour une Église servante et pauvre – abbiamo, implicita e inconfessata, o addirittura inconscia, l’idea che la Chiesa è fatta dal clero e che i fedeli ne sono solamente i beneficiari o la clientela. Questa orribile concezione si è impressa in così tante strutture e abitudini da sembrare scontata e impossibile da cambiare. È un tradimento della verità. C’è ancora molto da fare per declericalizzare la nostra concezione della Chiesa, senza, ovviamente, attentare alla sua struttura gerarchica, e per riportare i chierici nella verità totale della loro posizione di membri-servi (…). C’è strada da fare, ancora!”. 
Quali sono le corsie di questa strada da aprire? A tale domanda hanno risposto i membri dei “tavoli di lavoro” in cui si è articolata l’Assemblea diocesana di quest’anno che, sul modello del Convegno Ecclesiale Nazionale tenutosi a Firenze nell’autunno scorso, ci ha fatto sperimentare che l’autorevolezza del discernimento, come metodo della sinodalità, non precede l’azione ecclesiale ma è frutto di un paziente cammino di verifica all’interno di una forte esperienza di comunione.  
La prima corsia è riservata a noi ministri ordinati, chiamati a tenere unite le comunità cristiane stimolando la creatività dei fedeli laici. Per adempiere questo compito è necessario dedicare energie nuove alla direzione spirituale e al sacramento della Riconciliazione. Questa scelta pastorale ci viene raccomandata nell’esortazione apostolica Amoris laetitia, che Papa Francesco invita non solo a leggere attentamente, ma anche a scrivere sapientemente in confessionale, senza essere né rigoristi né lassisti.  “Nessuna delle due tipologie è testimone dell’amore di Dio, perché in entrambi i casi non ci si fa carico del peccatore, ma lo si scarica. Il rigorista lo inchioda alla freddezza della legge; il lassista, invece, non lo prende sul serio e così addormenta la coscienza del peccato”.
Una seconda corsia va riservata alle aggregazioni, ai movimenti e alle nuove comunità di base: “sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti”. Di recente, in un documento dal titolo Iuvenescit Ecclesia, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha sottolineato “la necessità di superare ogni sterile contrapposizione o estrinseca giustapposizione tra doni gerarchici e carismatici”. Alla Consulta per le aggregazioni laicali spetta il delicato compito di suonare la sveglia: è scaduto il tempo sia della reticenza a riconoscere nella parrocchia l’ambiente vitale della crescita dei carismi, sia della diffidenza a scorgere in essi nuovi appuntamenti di grazia che lo Spirito ha fissato alle comunità parrocchiali.  
Una terza corsia va riservata ai fedeli laici che accarezzano l’idea di coinvolgersi non solo nella vita sociale, ma anche nell’impegno politico, senza essere irrilevanti, né invadenti, semplicemente presenti. Il basso profilo dei fedeli laici impegnati in politica è il sintomo di una profonda depressione spirituale. Urge preparare credenti capaci di iniziativa e progettualità, disposti a vincere la solitudine dell’irrilevanza e dell’invisibilità; urge stimolarli a conoscere e ad assimilare la Dottrina sociale della Chiesa, a cui Papa Francesco, con l’enciclica Laudato si’, ha aggiunto un capitolo nuovo, quello della salvaguardia del creato, che “non abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri, ma abbiamo avuto in prestito dai nostri figli”.
Fratelli carissimi, l’invito a sognare una Chiesa “in uscita” porta a rileggere la vita pastorale in chiave missionaria. L’invito ad essere Chiesa “in uscita” è rivolto a te, Simone, in modo del tutto particolare. Lungo questa strada l’unica sosta prevista è quella della preghiera, per fare il pieno di luce e non certo per volgersi indietro. Lungo questa strada il Signore ti precede, assicurandoti che ogni grande opera incomincia silenziosamente: ha sempre umili inizi!

+ Gualtiero Sigismondi