Omelia pronunciata in occasione dell’Incontro nazionale dell’Ordo Virginum

22-08-2019

Giovedì della XX settimana – Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli, 22 agosto 2019

“Nobilissima Regina del mondo”: così la liturgia, nell’odierna memoria, invoca Maria, la “Donna vestita di sole”, nobile per grazia, seduta al banchetto del Regno alla destra del Figlio suo. La metafora del banchetto, evocata dal brano di Vangelo appena proclamato (cf. Mt 22,1-14), è usata spesso nella Sacra Scrittura per indicare la gioia nella comunione e nell’abbondanza dei doni del Signore (cf. Is 25,6-12). “Il Regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio” (Mt 22,2): così inizia la parabola che Gesù propone ai capi dei sacerdoti e ai farisei, identificandoli con coloro che declinano l’invito del re a partecipare al banchetto di nozze di suo figlio: hanno altro da fare, altri interessi. Il re non si perde d’animo, manda i suoi servi ai crocicchi delle strade e fa chiamare chiunque. I servi radunano tutti, “cattivi e buoni”, e la sala si riempie: a ciascuno di loro è data la possibilità di prendere parte alla festa, a condizione di indossare l’abito nuziale. Entrando nella sala, il re scorge che uno ne è privo e, per questa ragione, viene gettato fuori, senza pietà.
Di cosa è segno l’abito nuziale? A questa domanda rispondono i Padri della Chiesa, spiegando che a quel commensale manca la veste nuziale della carità. Preziosa, al riguardo, è la testimonianza di San Gregorio Magno: “Ognuno di voi che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della carità” (Omelia 38,9). Fratelli carissimi, tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la luce della fede al suo banchetto eterno, indossando l’abito nuziale della carità, il cui tessuto ha come ordito l’amore di Dio e come trama l’amore del prossimo. La fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa; senza la fede la carità non ha luce, ma senza la carità la fede non ha voce. Anche nella parabola delle dieci vergini l’olio che viene a mancare a cinque di esse è simbolo della carità, che alimenta la lampada della fede (cf. Mt 25,1-13).
“Molti sono i chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22,14). Il passaggio dalla condizione di “chiamati” allo stato di “eletti” è regolato dalla nostra libertà, “segno altissimo dell’immagine divina”. Il Maligno, “origine e causa di ogni peccato”, tenta di varcare la soglia della libertà, ma non può farlo senza il suo consenso; Dio, invece, non vuole fare niente senza il suo assenso. Egli, “Padre misericordioso”, afferma la libertà dell’uomo accettando il rischio di venire rifiutato. Sganciata dalla verità, la libertà diventa un “pretesto per la carne” (cf. Gal 5,13) o un “velo per coprire la malizia” (cf. 1Pt 2,16). Al contrario, se illuminata dalla verità, si apre alla dimensione che la realizza in senso pieno: quella del dono di sé che si fa servizio e condivisione. Dio non è il concorrente della libertà umana, piuttosto ne è il vero garante. Egli non si impone agli uomini ma fa appello alla loro libertà “ferita dal peccato”; sembra quasi disarmato dinanzi ad essa! “È proprio l’incondizionata grandezza dell’amore di Dio – osservava Benedetto XVI – a non escludere la libertà del rifiuto e, quindi, la possibilità della dannazione”.
Di fronte alla libertà umana Dio alza le mani; così ha fatto non solo con Eva, ma anche con Maria, “Nuova Eva”: ha voluto aver bisogno del suo Fiat per dare inizio all’opera della redenzione. Se il peccato di Adamo segna il punto di maggiore attrito tra la libertà e la grazia, il Fiat della Vergine sigilla il loro incontro. Ella, che ha commentato il Fiat dell’Annunciazione con il Magnificat della Visitazione, ci ottenga dal Figlio suo la gioia di ravvivare il nostro abbandono alla fedeltà di Dio. L’intercessione di Maria Regina, “segno di consolazione e di sicura speranza”, confermi il nostro proposito di non revocare la parola data al Signore, seguendo l’edificante esempio di Iefte e di sua figlia (cf. Gdc 11,29-39a). Iefte si “straccia le vesti” ma non rinnega il voto fatto; sua figlia erra per i monti a “piangere la propria verginità”, ma non volta le spalle al Signore. Il suo pianto non conosce la tristezza del tradimento e nemmeno l’amarezza di quella subdola forma di rinnegamento che è l’accidia, definita da Georges Bernanos “il più prezioso degli elisir del demonio”.
Sorelle e fratelli carissimi, una percentuale troppo alta di mediocrità minaccia la nostra libertà, concentrata su preoccupazioni materiali o, al limite, impegnata a scegliere tra una vita contemplativa e una di azione. Teniamo bene a mente quanto ci ricorda Papa Francesco: “Il luogo in cui cresce la relazione con Cristo è la preghiera e il frutto più maturo della preghiera è sempre la carità”. Dov’è carità e amore lì c’è libertà e dove c’è libertà lì c’è lo Spirito di Dio.

+ Gualtiero Sigismondi