Natale del Signore – Messa del giorno

25-12-2018

“Non finiremo mai di guardare il quadro universale della storia (…) alla luce apparsa a Betlemme. Come quando in una notte buia s’accende un lume le cose d’intorno e gli spazi prendono forma e misura, così all’apparire di Cristo, ogni cosa acquista un senso, un valore. Non è ancora luce piena, ma già basta per istruirci e per riempirci di meraviglia e d’ansia di nuovo sapere”. Questo appunto di Giovanni Battista Montini, conservato presso l’Archivio dell’Istituto Paolo VI di Brescia, ci invita a contemplare, “con ineffabile premura”, il mistero dell’Incarnazione del Verbo.
“I primi a vedere la gloria umile del Salvatore, dopo Maria e Giuseppe, furono i pastori di Betlemme. Riconobbero il segno annunciato loro dagli angeli e adorarono il Bambino. Quegli uomini umili ma vigilanti – osserva Papa Francesco – sono esempio per i credenti di ogni tempo che, di fronte al mistero di Gesù, non si scandalizzano della sua povertà, ma, come Maria, si fidano della parola di Dio e contemplano con occhi semplici la sua gloria”. L’evangelista Luca racconta la visita dei pastori alla grotta con un susseguirsi incalzante di verbi che esprimono movimento: essi vanno senza indugio, trovano Maria, Giuseppe e il Bambino, lo vedono, riferiscono “ciò che di Lui era stato detto loro”, e infine glorificano e lodano Dio (cf. Lc 2,15-20). La liturgia amplifica per tutti noi la voce dei pastori: “Transeamus usque Bethlehem”. L’espressione latina transeamus, che nel mondo pastorale richiama l’esperienza della transumanza, significa: osare il passo che va oltre.
Festinantes: vinto il comprensibile timore, i pastori si recano a Betlemme con sollecitudine. Non è la curiosità a farli partire a notte fonda, lasciando incustodito il gregge, ma è lo stupore ad ammortizzare il torpore che una dura giornata di lavoro e una gelida notte presentano come salario. Si mettono in cammino, scortati dall’eco del Gloria, per raggiungere il luogo indicato dall’angelo del Signore. Si lasciano guidare dalla voce della luce che li avvolge; i loro occhi cercano riparo nella volta del cielo e sono rinfrancati dalla luce delle stelle. “Sei nato nascosto in una grotta – canta la liturgia bizantina –, ma il cielo ti ha annunciato a tutti, usando come bocca la stella, o Salvatore”. I pastori, uomini semplici, umili e liberi, custodiscono un ardente desiderio: vedere l’avvenimento che il Signore ha fatto conoscere loro (cf. Lc 2,15). Essi legano la fede all’ascolto, “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto” (Lc 2,20), senza vincolare il credere né al vedere, né al toccare, come esigerà Tommaso la sera del giorno di Pasqua (cf. Gv 20,25).
San Paolo assicura che l’ascolto apre gli occhi alla fede (cf. Rm 10,17). Anche Giovanni testimonia che sono gli orecchi a dare luce agli occhi: “Quello che era da principio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita (…), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,1.3). Il silenzio della notte di Natale, che nell’iconografia annuncia quello del Sabato santo, invita a riconoscere che “la fede vede nella misura in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla parola di Dio”. Vede con il cuore chi, come i pastori, osa mettersi in cammino. Vede con il cuore chi, come Maria, avvolge nelle fasce del silenzio tutto ciò che custodisce e medita. Vede con il cuore chi, come i Magi, scorge i “semi del Verbo” nei “segni dei tempi”. Vede con il cuore chi, nella prova, non rinuncia a sollevare lo sguardo. Vede con il cuore chi conosce l’alfabeto delle lacrime, quelle che restano un nodo in gola. Vede con il cuore chi previene quanti hanno bisogno di essere soccorsi e consolati. Vede con il cuore chi nel volto del nemico scopre i lineamenti del fratello da perdonare. Vede con il cuore chi riesce a scorgere le sfumature nei dettagli, l’immensità nel frammento, la ricchezza nella povertà.
Fratelli carissimi, l’ascolto è, per così dire, il navigatore della fede! In questo giorno santissimo in cui Dio, nel suo Figlio fatto uomo, “ha congiunto la terra al cielo”, sant’Efrem il Siro ci invita a pronunciare, all’unisono con il Gloria, questa formula di benedizione: “Benedetto il bimbo, che oggi ha fatto esultare Betlemme. Benedetto l’infante, che oggi ha ringiovanito l’umanità. Benedetto il frutto, che ha chinato se stesso verso la nostra fame. Benedetto il buono che in un istante ha arricchito tutta la nostra povertà e ha colmato la nostra indigenza. Benedetto colui che è stato piegato dalla sua misericordia a prendersi cura della nostra infermità”.
A Natale il Signore si è piegato verso di noi; a Pasqua si è piagato per noi!

+ Gualtiero Sigismondi