Relazione al Consiglio Pastorale Diocesano

Foligno, 23 giugno 2017

 
CONSIGLIO PASTORALE
 
 
“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37): lo sguardo della Chiesa rimane fisso sul Cuore di Cristo, autentica “fornace ardente” dell’amore di Dio. Il Sacratissimo Cuore di Gesù è il “centro di gravità” della storia della salvezza: come attraverso di esso il Signore Dio “ci ha aperto i tesori infiniti del suo amore”, così attratti da esso veniamo introdotti nel seno del Padre. Difatti, se è lo Spirito santo a spingerci verso Cristo, a orientarci decisamente verso di Lui, è il Cuore di Gesù ad esercitare su di noi un’irresistibile forza di attrazione, che ci introduce nell’abisso insondabile della Carità divina. “Innalzato sulla Croce – così insegna la lex orandi – nel suo amore senza limiti donò la vita per noi, e dalla ferita del suo fianco effuse sangue e acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al cuore del Salvatore, attingessero con gioia alle sorgenti della salvezza”.
 
L’icona più luminosa della “Chiesa in uscita missionaria” è il Cuore aperto di Gesù, da cui sono scaturiti “sangue ed acqua”, simboli del Battesimo e dell’Eucaristia (cf. Gv 19,33-34). Il libro di testo che esprime più da vicino l’identità di una Chiesa “in uscita” è quello degli Atti, che segue il percorso di evangelizzazione tracciato dallo Spirito santo ai “Principi degli apostoli”. Una strada, da Gerusalemme a Roma, tagliata dalla persecuzione che non ha impedito al Vangelo di compiere la sua corsa, iniziata dalla soglia della “porta santa” del Cenacolo, la “grande sala al piano superiore”, sotto lo sguardo orante di Maria (cf At 1,12-14) che stando ai piedi della Croce ha attinto al Costato del Figlio suo, “fonte inesauribile”, meritando il titolo di “acquedotto della grazia”.
 
Le nostre comunità potranno rimanere vive e dinamiche nell’opera di evangelizzazione nella misura in cui impareranno dal Cuore di Cristo, “mite ed umile” (Mt 11,29), che “la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione”, come ricorda Papa Francesco citando Benedetto XVI. Quello della testimonianza è un modello che segue questo protocollo.
 

  • Seminare la Parola con larghezza senza stancarsi. Testimoniare che “la fede viene dall’ascolto” (Rm 10,17), curando assiduamente il “servizio della Parola”, nella certezza che persino le vicende della vita aiutano ad interpretarla.
  • Avviare processi senza forzature. Alzare gli occhi e guardare “i campi che già biondeggiano” (cf. Gv 4,35), riconoscendo che “ogni anima ha la sua pienezza del tempo, così come ogni fiore ha la sua stagione per la fioritura”.
  • Coinvolgersi senza farsi travolgere. Avvicinarsi con “dolcezza e rispetto” a chiunque cerchi la “verità tutta intera”, imitando l’esempio di Filippo, che sale sul carro di un funzionario etiope lasciandosi guidare e rapire dallo Spirito (cf. At 8,29.39).
  • Inquietare senza irritare. Avere l’audacia di favorire il dialogo tra il chiasso dei sensi e il silenzio della “brezza leggera dello Spirito”, facendo emergere l’interrogativo rivolto da Gesù ai discepoli di Giovanni: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38).
  • Incoraggiare senza assecondare. Avvertire che qualsiasi traguardo è una linea di partenza (cf. Mc 10,21), che non autorizza a trovare un posto dove “posare il capo” (cf. Lc 9,58), ma  sollecita a fermarsi solo per “riprendere fiato” (cf. Lc 14,28-33).
  • Indicare la strada senza legare a sé. Apprendere da Giovanni Battista, l'”amico dello Sposo”, l’arte di “preparare la via del Signore” (cf. Mt 1,3) e l’ascesi di “diminuire”, perché è solamente l’Agnello di Dio che deve “crescere” (cf. Gv 3,30).
  • Rendere grazie senza stancarsi di intercedere. Riconoscere che gratitudine e intercessione sono, per così dire, la sistole e la diastole del discernimento e dell’accompagnamento e che il dono della grazia divina, sempre eccedente, precede ogni umana risposta.
+ Gualtiero Sigismondi
23-06-2017