Mons. Sorrentino: lettera ai governanti dei popoli

Fratelli e sorelle, che vi trovate, a qualunque titolo, nel ruolo di governanti, con la responsabilità di prendere decisioni dalle quali dipende il presente e il futuro dell’umanità, vogliate ascoltare il grido che sale dalla coscienza che ci pone davanti al Dio eterno e misericordioso, mentre un’assurda guerra, scatenata con un’invasione, sta dilaniando due popoli fratelli in Ucraina, nel contesto di un mondo seminato di guerre spesso non meno disastrose ma più dimenticate.

Ho sentito il bisogno, come pastore di questa Chiesa di Assisi che diede i natali a San Francesco ed è tutta segnata dalla sua santità, d’intesa con i suoi figli che qui incarnano il suo carisma, di farvi giungere una parola semplice, “ingenua” come la sua, in armonia  con il grido di dolore del Sommo Pontefice che porta il suo nome.

Nella sua semplicità il Poverello di Assisi scrisse una “lettera ai reggitori di popoli”. Desidero riecheggiarla e attualizzarla per voi,  mentre l’umanità trema, e tanti fratelli e sorelle dell’Ucraina fuggono dalle macerie, ed altri imbracciano le armi per difendere la loro patria. Ci toccano il cuore. Ci domandano cose che non daremo mai abbastanza ­– e  cioè accoglienza, solidarietà, amore, vicinanza ­– ma anche cose che non possiamo dare a cuor leggero, e cioè  armi, che forse in questo momento sono per loro l’unico modo per difendersi, ma che, senza precise condizioni e misura, avrebbero un effetto boomerang su di loro e sui noi.

San Francesco, nella sua lettera ai reggitori dei popoli, si limitava a chiedere una sola cosa: di mettere in onore il pensiero di Dio. Scriveva: «Considerate e vedete che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico perciò, con tutta la reverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore».

Un approccio che può apparire semplicistico, di fronte a una realtà così complessa e dolorosa come quella che si sta oggi vivendo in Ucraina e di riflesso nel mondo. Ma forse il Santo era meno ingenuo di quanto possa sembrare, gettando, con quel suggerimento, le fondamenta  stesse di ogni buon governo della società. Sta in questo orizzonte ciò che papa Francesco ci ha voluto dire consacrando il mondo a Maria. È la diplomazia della pace espressa con la forza mite della preghiera. È al tempo stesso l’incoraggiamento, in questo momento buio dell’Europa e dell’umanità, a credere nella forza della ragione, sapendo che essa è una scintilla inestinguibile, perché appartiene alla struttura della persona umana ed ha il suo fondamento nella presenza di Dio in ciascuna persona.

Occorre continuare a credere, nonostante tutto, nelle risorse della diplomazia, intesa come esercizio del diritto, della ragione e del dialogo.

Prima ancora urge, per tutti noi, ma con particolare responsabilità in chi ha la guida dei popoli, una vera “conversione”. Ci stiamo  misurando con  la  “conversione” ecologica e digitale. Ma non è almeno altrettanto urgente la conversione morale e spirituale, una vera e propria revisione di vita? Francesco di Assisi invita tutti noi a farla guardando a Cristo crocifisso. Sulla sua croce, trionfa l’Amore. Sulla sua croce è anche spiegato che l’Amore consiste nel dono di sé. Tutto ci è dato in dono. Dobbiamo a nostra volta essere capaci di dono e di “perdono”. Si obietterà: non è questa una prospettiva per soli credenti? In realtà ci riguarda tutti, perché Dio è più intimo a noi dei nostri pensieri su di lui e delle nostre stesse negazioni di lui. Ciascuno di noi, guardandosi dentro con sincerità, è costretto a riconoscere di non essere Dio e, implicitamente, di dover rendere conto a Dio, comunque lo chiami o eviti di chiamarlo, secondo le differenti concezioni di vita e di fede.

Su questa base, necessaria – per implicita che sia – si può edificare un ordine sociale, economico, politico, internazionale, che non si risolva in un pragmatismo privo di orientamento, di fondamento e di anima, ma porti quel soffio di umanità che ci fa sentire tutti fratelli e sorelle, ponendoci, gli uni verso gli altri, in un atteggiamento di umiltà. San Francesco, di questa umiltà, fu maestro. Non si poneva come “superiore”, ma come “inferiore”, secondo il principio evangelico che egli aveva incarnato spogliandosi di tutto, dando poi ai suoi frati la regola: «che siano soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio».

Il segreto per sciogliere nodi complessi come quello che stiamo vivendo, alla luce del Vangelo e della spiritualità francescana, resta la preghiera, quella autentica, che implica una scelta di vita. Con la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria papa Francesco ci ha spinti a far leva sull’intercessione e l’esempio di quel “cuore” di Madre che sotto la croce vide massacrato un figlio, e non scagliò maledizioni ma continuò a benedire e perdonare. Atteggiamento troppo eroico?  Privilegio dei santi? In effetti nessuno di noi può farsene maestro, se non quando riesce a viverlo nei panni degli innocenti aggrediti. E tuttavia questo ideale di umanità è da coltivare, per riempire i nostri cuori di sentimenti di benevolenza e di perdono, che ci servano nei momenti più difficili a non lasciarci risucchiare   dall’odio.

Ci serve anche per resistere all’idea, che in questo momento potrebbe sembrare imposta dalla necessità, che si debba investire ancora di più per le armi, mentre in realtà andrebbe investito molto di più per sfamare i poveri. Se proprio di una difesa armata abbiamo bisogno, di fronte ad aggressori senza scrupoli, mi chiedo se non basti investire, a livello di innovazione tecnologica, per ideare strumenti che abbiano unicamente la funzione di contrastare e distruggere armi, non persone, mirando ad immobilizzare e rendere inoffensivo l’aggressore, senza togliergli la vita. Sarebbe una svolta “umanistica” della cultura della difesa, in vista di un mondo più sicuro e di una geopolitica della solidarietà, non sottoposta al diabolico ricatto della necessità degli armamenti. Se alleanze difensive, come la Nato, non si rigenerano alla luce di questi criteri, appariranno sempre a qualcuno una minaccia, e ne seguiranno reazioni uguali e contrarie. Quando si fermerà questa spirale?

Solo un orizzonte come questo può assicurare piena credibilità alla diplomazia, più che mai necessaria, ma che deve poter contare su una condivisione di valori fondamentali e su stabili e condivise istituzioni, come quelle dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite. Accanto ad essa c’è forse bisogno anche di una diplomazia “carismatica”, sviluppata da persone non sospettabili di partigianeria e magari collocata in ambienti ispiranti, che siano per vocazione luoghi di pace. Mi auguro che tale venga riconosciuta – perché tale è – la diplomazia della Santa Sede che si è dichiarata disponibile a una mediazione.  Se poi di un luogo carismatico si avesse bisogno, immagino che pochi luoghi al mondo possano vantare il fascino spirituale di questa Assisi, nella quale un ricco mercante otto secoli fa si spogliò di tutto, per appartenere solo a Dio e per essere, senza confini e senza misura, “fratello universale”. Ciò che i papi, da San Giovanni Paolo II in poi,  hanno fatto in questi decenni, inaugurando in questa Città quel percorso di preghiera e di dialogo interreligioso, noto come “spirito di Assisi”, ne è testimonianza. Se dunque potesse essere utile un luogo come questo, nella sua anima ecclesiale, con la componente privilegiata dei figli di Francesco, ed anche – non ne dubito – nella sua componente civile, Assisi è pronta. In questa città benedetta assicuriamo, innanzitutto per le vittime, e poi per i governanti di Russia e Ucraina e per tutti i “reggitori dei popoli” chiamati a tessere le condizioni di un efficace tavolo della pace, la preghiera costante. Insieme garantiamo la “neutralità” necessaria per stare dalla parte delle vittime senza perdere fiducia nella capacità degli aggressori di tornare alla luce della ragione e del bene. A tutti il saluto-preghiera di San Francesco: «Il Signore vi dia la pace».

 

+ Domenico Sorrentino, vescovo