“Un’Amicizia paterna” – Editoriale apparso nella “Gazzetta di Foligno” in occasione della morte di S.E. Mons. Giovanni Benedetti, Vescovo emerito

04-08-2017
Un’Amicizia paterna

Quella con S. E. mons. Giovanni Benedetti non è stata un’Amicizia fraterna, ma paterna. Non trovo espressione più sintetica di questa per esprimere la natura profonda della comunione che lega non solo me, ma l’intera città e diocesi di Foligno al Vescovo Giovanni. Il suo transito, avvenuto serenamente, dopo aver tagliato il traguardo dei 100 anni, è commentato da una profonda commozione e da un’immensa gratitudine. Commozione per aver perso un Padre della Chiesa, gratitudine per averlo avuto come autentico vir ecclesiasticus. Questa espressione è di Henri-Marie de Lubac, con cui mons. Benedetti ha stabilito un profondo rapporto di amicizia, come testimonia la pubblicazione della corrispondenza epistolare con il grande teologo gesuita. Provo a tracciare il profilo di mons. Benedetti facendo parlare De Lubac che, nel suo libro dal titolo Meditazione sulla Chiesa, traccia il profilo del vir ecclesiasticus.  

Nella sua accezione originaria, senza distinzione obbligata tra chierico e laico, la categoria di vir ecclesiasticus indica l’uomo di Chiesa, l’uomo nella Chiesa o, più esattamente, l’uomo della Chiesa, che “ne ama il passato, ne medita la storia, ne venera e ne esplora la Tradizione” la quale, assieme alla Scrittura e al Magistero, forma il “triplice ed unico canale” lungo il quale scorre la Parola di Dio. Nel vero uomo di Chiesa l’attaccamento alla Tradizione non si muta mai in durezza o disprezzo; al contrario, dato che “non c’è salvezza fuorché nell’equilibrio”, egli non confonde “l’ortodossia e la fermezza dottrinale con la grettezza e la pigrizia mentale”, che nulla hanno a che vedere con lo spirito cattolico, opposto per principio ad ogni “spirito di fazione”.
L’autentico vir ecclesiasticus non è un “fanatico del passato”, perciò non denigra e scoraggia in anticipo ogni desiderio e ogni tentativo di novità; si sforza piuttosto di “discernere gli spiriti”, avendo cura di non arrestare uno sviluppo necessario solo perché è accompagnato da qualche passo falso. “Prima di spegnere uno slancio, tenterà sempre di correggerne la rotta”. “Egli soffre dei mali interni della Chiesa; la vorrebbe, in tutti i suoi membri, più pura e più unita, più attenta al richiamo delle anime, più attiva nella sua testimonianza, più ardente nella sua sete di giustizia, più spirituale in ogni cosa, più schiva di ogni compromesso con il mondo e con la sua menzogna. Senza nutrire un sogno utopistico e senza omettere di accusare prima di tutto se stesso, l’autentico vir ecclesiasticus respinge il facile adagiarsi dei discepoli del Cristo nel troppo umano”.
“L’uomo di Chiesa rimane sempre aperto alla speranza. L’orizzonte, per lui, non è mai chiuso”. Quest’ultima sottolineatura di De Lubac ritrae il Vescovo Giovanni sulla soglia del Paradiso. Per lui, adesso, l’orizzonte si è aperto, totalmente. Forse anche sulla porta santa del Regno dei cieli oserà porsi, magari sottovoce, la domanda con la quale era solito interrogare i suoi interlocutori: “A che serve?” Sant’Angela da Foligno l’avrà preso per mano e, in silenzio, lo avrà accompagnato a compiere il definitivo progresso nel mistero della Comunione dei santi e a sedersi alla tavola del Regno ove il Signore stesso passerà a servirgli il “calice” della beatitudine, della luce e della pace. Mons. Benedetti era solito mangiare molte mele procurategli, ogni giorno, da Ilde che lo ha seguito e servito con Amicizia materna: chissà se le mele – rigorosamente gialle! – le troverà ancora nel menù del Paradiso, che non è quello terrestre?
+ Gualtiero Sigismondi