Presentazione del Signore

02-02-2019

Quaranta giorni dopo Natale celebriamo il Signore che, entrando nel tempio, va incontro al suo popolo. Questa festività, che nell’Oriente cristiano è detta Ipapánte, apre il cammino verso la Pasqua. Nel tempio di Gerusalemme avviene un duplice incontro: quello tra il Verbo fatto carne e l’umanità in attesa, e quello tra i giovani sposi Maria e Giuseppe e i santi vegliardi Simeone e Anna. Questo episodio compie così la profezia di Gioele: “I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (3,1). Mentre Maria e Giuseppe osservano fedelmente le prescrizioni della Legge senza prendere la parola, gli anziani Simeone e Anna profetizzano. In genere sono i giovani a parlare con slancio del futuro, mentre gli anziani custodiscono in silenzio la memoria del passato. Nel Vangelo accade l’inverso; questa dinamica lascia chiaramente intendere che, se i giovani sono chiamati ad aprire nuove porte, gli anziani ne tengono in mano le chiavi.
Ricordare è una delle espressioni più alte della gratitudine: chi non ricorda, non ha il senso della storia e non avrà “memoria del futuro”. Chi non conserva la lezione impartita dalla storia è inesorabilmente destinato a inciampare in errori e fallimenti. L’eredità di sapienza, ricevuta dal passato, è come una fiaccola che dirada l’oscurità incerta del futuro. “Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo”. Le pagine più turbolente della storia, sebbene legate a precisi contesti, non passano mai in giudicato. È sempre nelle bufere della storia che nascono le opere di Dio! Quanto questo sia vero lo testimonia la straordinaria fioritura di comunità di vita consacrata che, in ogni tempo, hanno scritto capitoli importanti di storia della Chiesa e, con sorprendente vivacità, continuano a farlo anche ai nostri giorni.
Nella festa della Presentazione del Signore la Chiesa celebra la Giornata Mondiale della Vita consacrata. C’è un doppio binario su cui viaggia questo segno profetico: da una parte l’iniziativa di Dio, da cui tutto ha inizio e a cui dobbiamo sempre tornare; dall’altra la nostra risposta, che è autentica quando tiene fisso lo sguardo su Gesù: povero, casto e obbediente. “Il mondo cerca di accaparrare – avverte Papa Francesco –, la vita consacrata lascia le ricchezze che passano per abbracciare Colui che resta. Il mondo insegue i piaceri e le voglie dell’io, la vita consacrata libera l’affetto da ogni possesso per amare pienamente Dio e gli altri. Il mondo s’impunta per fare ciò che vuole, la vita consacrata sceglie l’obbedienza come libertà più grande. Mentre il mondo lascia vuote le mani e il cuore, la vita consacrata riempie di pace tutta l’esistenza, come è accaduto a Simeone ed Anna, che arrivano felici al tramonto della vita. Avere il Signore tra le braccia è l’antidoto al misticismo isolato e all’attivismo sfrenato”.
Fratelli e sorelle carissimi, vivere l’incontro con Gesù è il segreto per mantenere alto il livello della vita interiore e della vita fraterna. Non facciamoci illusioni: se cede l’una, l’altra cade, e viceversa! La cura della vita interiore è, infatti, il balsamo della vita comune e fraterna, la quale, a sua volta, è l’olio che alimenta la fiamma della vita interiore. Il dovere di ricentrarsi sulla vita fraterna – criterio infallibile di discernimento vocazionale e, al tempo stesso, regola fondamentale di ogni autentico movimento di riforma – mette al riparo da quella che Papa Francesco chiama la “tentazione della sopravvivenza”. “L’atteggiamento di sopravvivenza ci fa diventare reazionari, paurosi, ci fa rinchiudere lentamente e silenziosamente nelle nostre case e nei nostri schemi. Ci proietta all’indietro, verso le gesta gloriose – ma passate – che, invece di suscitare la creatività profetica nata dai sogni dei nostri fondatori, cerca scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte. La psicologia della sopravvivenza toglie forza ai nostri carismi perché ci porta a proteggere spazi, edifici o strutture più che a rendere possibili nuovi processi. La tentazione della sopravvivenza ci fa dimenticare la grazia, ci rende professionisti del sacro ma non padri, madri o fratelli della speranza che siamo stati chiamati a profetizzare. Questo clima di sopravvivenza inaridisce il cuore degli anziani, privandoli della capacità di sognare, e sterilizza la profezia che i più giovani sono chiamati ad annunciare e realizzare”.
Fratelli e sorelle carissimi, rimaniamo aperti al “quotidiano scompiglio della grazia”, lasciamoci condurre al largo dal vento impetuoso e gagliardo dello Spirito! Egli vuole aver bisogno di noi per scrivere pagine inedite di vita ecclesiale.

+ Gualtiero Sigismondi