Pasqua di Risurrezione

21-04-2019

“Nemmeno le tenebre per te sono tenebre, e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce” (Sal 139,12). Queste parole del Salmista suggeriscono alla Chiesa cosa dire in questo giorno fatto dal Signore. L’ombra della Croce ha preceduto l’aurora del Sole di Pasqua, che ha dissipato le tenebre dell’ora della morte di Gesù. Il “Prologo” della Risurrezione del Signore lo ha scritto la luce, che ha cancellato la notte del sepolcro.
Il brano evangelico che abbiamo ascoltato (cf. Gv 20,1-9) ci ha fatto sentire il passo veloce della Maddalena, scortato dal battito del suo cuore, in cui è possibile sentire l’eco del Salmista: “Precedo l’aurora e grido aiuto” (Sal 119,147). Maria di Magdala, che non voleva tardare all’appuntamento dello spuntare della luce nel primo giorno della settimana, viene colta di sorpresa dall’alba radiosa e splendida della Pasqua del Signore. Il sepolcro di Gesù, sigillato il giorno della Parascève, quando “già splendevano le luci del sabato” (cf. Lc 23,54), si illumina di luce nuova prima ancora dell’aurora. Nel silenzio di quella notte beata, che “ha meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi”, nelle viscere di misericordia del Padre avranno risuonato le parole del Salmista: “Voglio svegliare l’aurora” (Sal 57,9). Nel grande silenzio della morte di Gesù, il cuore delle donne era addolorato e quello dei discepoli rassegnato; solo la Madre di Gesù avrà desiderato ardentemente di chiedere a ciascuna delle guardie, poste a custodia del sepolcro: “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?” (cf. Is 21,11).
Fratelli carissimi, la luce della Risurrezione ha disarmato la notte del Sabato Santo, resa meno oscura dalla luna piena. La liturgia cattolica, come già quella ebraica, ha disposto la primavera a cornice della Pasqua che, correlata con il ciclo lunare, cade la domenica successiva alla prima luna piena di primavera. Come nei sacramenti la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale, così nel linguaggio liturgico la stagione primaverile e la luna piena ci sollecitano a lasciarci travolgere dall’inondazione di vita, “luce degli uomini” (cf. Gv 1,4), della Pasqua del Signore. “Non è qui, è risorto” (Lc 24,6): questo annuncio pasquale, pronunciato all’unisono da due uomini “in abito sfolgorante”, deve essere sembrato folle, più che vano, all’orecchio delle donne, le quali corrono dai discepoli; chi, più e meglio di essi, avrebbe potuto concedere loro l’attenuante del vaneggiamento sull’accusa di follia?
Maria di Magdala reca ai discepoli il primo annuncio della gioia pasquale: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” (Gv 20,2). Pietro e Giovanni sono i primi, fra i discepoli, a recarsi al sepolcro di Gesù. “Chi corre più forte è Giovanni, certamente perché è più giovane, ma anche perché – rileva Papa Francesco – non ha smesso di sperare dopo aver visto coi suoi occhi Gesù morire in croce; e anche perché è stato vicino a Maria, e per questo è stato contagiato dalla sua fede”. Il Vangelo dice che Pietro, sebbene sia arrivato in ritardo, entrò per primo nel sepolcro e vide i teli per terra e il sudario “avvolto in un luogo a parte” (cf. Gv 20,6-7). Poi entrò anche l’altro discepolo, il quale “vide e credette” (cf. Gv 20,8). “In tutto il Vangelo di Giovanni – osserva il Santo Padre – si narra che i discepoli vedendo i segni che Gesù compiva credettero in Lui. Vedere e credere. Di quali segni si tratta? Dell’acqua trasformata in vino per le nozze; di un cieco nato che acquista la vista; di una grande folla saziata con cinque pani e due pesci; della risurrezione dell’amico Lazzaro, morto da quattro giorni. In tutti questi segni Gesù rivela il volto invisibile di Dio. Non è la rappresentazione della sublime perfezione divina, quella che traspare dai segni di Gesù, ma il racconto della fragilità umana che incontra la Grazia che risolleva”.
Fratelli carissimi, “la Risurrezione di Cristo è vita per i defunti, perdono per i peccatori, gloria per i santi (…). La luce di Cristo – scrive San Massimo di Torino – è giorno senza notte, giorno che non conosce tramonto (…). Pertanto, tutti dobbiamo rallegrarci in questo santo giorno. Nessuno deve sottrarsi alla letizia comune a motivo dei peccati che ancora gravano sulla sua coscienza (…). Sebbene peccatore, in questo giorno nessuno deve disperare del perdono. Abbiamo infatti una prova non piccola: se il ladro ha ottenuto il paradiso, perché non dovrebbe ottenere perdono il cristiano?” (Discorsi, 53). Fratelli carissimi, dal giorno di Pasqua la storia non è più la stessa: nemmeno quel pesante macigno, messo davanti al sepolcro, ha potuto resistere!

+ Gualtiero Sigismondi