Omelia per la Messa Crismale

Chiesa di San Giacomo
30-03-2021

La Messa crismale ci fa contemplare il Signore attraverso gli occhi dei suoi compaesani “fissi su di Lui” (cf. Lc 4,20). Il loro sguardo, accecato dalla curiosità, chiude gli orecchi all’ascolto; sebbene provino meraviglia, i loro cuori si riempiono di sdegno che li porta a cacciare Gesù “fuori della città”, “fin sul ciglio del monte”, “per gettarlo giù” (cf. Lc 4,28-29). La prima stazione della Via crucis si compie a Nazaret: questa è una delle ragioni per le quali la liturgia, alla vigilia del Triduo pasquale, ci invita a fare tappa a Nazaret, la città della Galilea in cui il Fiat della Vergine (cf. Lc 1,38) annuncia l’Eccomi di Cristo (cf. Eb 10,7; Sal 40,8), “si rispecchiano l’uno nell’altro e formano un unico Amen al disegno salvifico del Padre” (cf. Gv 4,34). È un Amen che sentirà i “brividi” del Getsemani e avrà i “lividi” del Golgota, ma non rinuncerà ad amare “fino alla fine” (cf. Gv 13,1), “facendosi obbediente fino alla morte” (Fil 2,8).
Fratelli e sorelle carissimi, la Messa del crisma è “una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione con lui dei presbiteri”, che hanno la missione e la facoltà di “agire nella persona di Cristo capo”, e dei diaconi, abilitati a “servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità”. Sacerdozio battesimale e ordinato, pur nella distinzione, si radicano nell’unico sacerdozio di Cristo e alimentano la vita ecclesiale con la loro reciproca e feconda tensione, espressa anche dalla benedizione degli oli. Essi, simboli sacri che segnano la vita dell’uomo con l’impronta della grazia, rendono manifesto che il sacerdozio ministeriale è a servizio di quello battesimale che lo ingloba, essendone la fonte, anzi, la brace che ravviva la fiamma del dono ricevuto con l’imposizione delle mani.
La metafora del focolare viene evocata da Paolo per esortare Timoteo ad attizzare il fuoco acceso nel suo cuore dallo Spirito santo (cf. 2Tm 1,6). Il verbo “ravvivare” (anazopurein), a cui accenna l’Apostolo, si potrebbe tradurre così: “ridare vita al fuoco”. Paolo non chiede a Timoteo di “accendere” il fuoco, ma di “ridargli vita”. Questo verbo rimanda all’uso di coprire la brace con la cenere, alla sera, e di ravvivarla al mattino soffiando via la cenere con la bocca o con un mantice. Durante la notte la brace non si spegne, ma si affievolisce, e basta un po’ d’aria per farle riprendere vita. Il carisma del ministero ordinato non si spegne mai – la teologia del “carattere” custodisce il senso della fedeltà di Dio ai suoi doni – ma si può affievolire. La notte e la cenere non risparmiano nessuno: la notte del peccato e del dolore e la cenere dell’abitudine, la notte dei fallimenti pastorali e la cenere dell’incomprensione e della solitudine. Ma la brace non si spegne: attende solo l’ossigeno della comunione fraterna.
Il rinnovo delle promesse sacerdotali nella Messa crismale è il “prologo” del rinnovo delle promesse battesimali nella Veglia pasquale. A voi, popolo santo di Dio, in questa celebrazione viene chiesto di pregare per noi, ministri ordinati, perché possiamo essere vostri “servi premurosi”: uomini “instancabili nel dono di sé, vigilanti nella preghiera, lieti e accoglienti nel servizio della comunità”; uomini dal cuore libero e ardente, che non si lasciano guidare da interessi umani e non sentono la necessità di un profilo social perché non cercano visibilità; uomini spinti dall’amore di Cristo e dalla passione per la Chiesa, consapevoli che l’evangelizzazione non si può praticare solo per convocazione, ma anche per immersione, per irradiazione, per attrazione; uomini in cui è possibile incontrare lo sguardo di Dio, perché allenati a svegliare l’aurora ai piedi dell’altare, immersi nella Parola e disposti a riconoscere il volto del Signore nei poveri, con i quali Egli ha voluto identificarsi. “Il sacerdote che non si è tenuto vicino alla fiamma del Tabernacolo – avvertiva Fulton John Sheen – non può emettere scintille dal pulpito”.
Fratelli e sorelle carissimi, “pregate anche per me, perché diventi ogni giorno di più immagine viva e autentica di Cristo sacerdote, buon pastore, maestro e servo di tutti”. Questa intenzione di preghiera, suggerita dalla liturgia prima della benedizione degli oli, raccoglie la pienezza di grazia che si sprigiona dalla santità del popolo di Dio. Mi dispongo a pronunciarla con serena fiducia, nella consapevolezza che non è solo il vescovo a portare il pastorale, ma è il pastorale stesso a sostenere il vescovo nella guida del gregge di Dio a lui affidato. “Il Signore ci custodisca tutti nel suo amore e conduca noi, pastori e gregge, alla vita eterna”.

+ Gualtiero Sigismondi