Liturgia della Parola per l’apertura della fase diocesana dell’assemblea del Sinodo dei Vescovi

17-10-2021

Con grande gioia, cari fratelli e sorelle, mi incontro con voi dopo avervi visti – quanti ne ho potuti vedere – il giorno del mio ingresso pastorale. Vi incontrerò poi, in maniera più solenne, quando spero, con la prima domenica di Avvento, di consegnarvi un primo pen-siero di orientamento pastorale. In questo periodo sto cercando di ascoltare, sto cercando di capire, sto cercando di incontrarvi. Mi metto in ascolto della voce di Dio e cercherò, poi, di tradurla per voi, così come saprò e potrò anche grazie alla vostra preghiera.
Questa sera ci ritroviamo su invito di Papa Francesco. È un momento dunque in cui, come Chiesa particolare, viviamo una speciale comunione con la Chiesa universale.
Perché il Santo Padre ha voluto che in tutte le Chiese particolari – oggi pomeriggio l’ho fatto ad Assisi, e questa sera qui a Foligno – ci si incontrasse? Perché ha desiderato per la Chiesa universale un Sinodo nel quale noi siamo particolarmente implicati? Di che cosa parliamo quando si dice questa parola?
La parola in sé è molto semplice, deriva dal greco e significa “camminare insieme”. Usata per la vita ecclesiale, è un’altra maniera di esprimere la “comunione”, ossia il nostro stare insieme nel nome della Trinità, ma con un aspetto dinamico, perché nella parola Sinodo c’è anche la dimensione del cammino: “odòs” (strada) e “syn” (insieme). È bello camminare insieme. Questa parola in qualche modo definisce la Chiesa. La definisce a vari livelli. C’è una sinodalità che potremmo dire battesimale: abbiamo non a caso cominciato ricordando il nostro battesimo e rifacendo le promesse battesimali. Tutta la Chiesa è stata immersa nel mistero di Gesù. È ciò che avviene per ciascuno di noi nel battesimo. Ricorda-te cosa dice il rito: noi siamo tutti diventati sacerdoti, profeti e re. Tutti, nessuno escluso. Naturalmente questo poi lo attuiamo nella misura in cui c’è una coerenza con il dono ricevuto. Questo significa anche prendere coscienza che tutti, come battezzati, abbiamo nel-la Chiesa un ruolo da svolgere e una parola da dire. Ecco perché il Santo Padre ha voluto, specialmente in questo Sinodo, aprire un po’ lo sguardo e le orecchie della Chiesa. Ha detto: parliamoci, interroghiamoci. E ci proporrà delle domande alle quali noi cercheremo di rispondere, perché egli vuole attivare, con tutti noi pastori delle Chiese particolari, questa sinodalità diffusa, questa sinodalità battesimale, affinché ogni credente si possa esprimere in forza del suo battesimo e nella misura della sua coerenza col dono ricevuto. C’è poi una sinodalità, che direi ministeriale. Come c’è un sacerdozio battesimale, c’è anche un sacerdozio ministeriale, al quale si lega una specifica sinodalità che si esprime nel ruolo che svolgono i pastori nella Chiesa, i vescovi insieme con il Papa. Il Sinodo, strettamente detto, per la Chiesa universale, è appunto un’espressione di questa collegialità, che ha di-verse articolazioni. La più grande è il Concilio ecumenico, nel quale tutti i vescovi si radunano, convocati dal Papa, per affrontare dei problemi o per definire qualche aspetto della fede. Noi abbiamo avuto, nel nostro tempo, il Concilio Ecumenico Vaticano II. Non abbiamo ancora assimilato la grande ispirazione che il Signore ha dato alla sua Chiesa con questo Concilio. È stato un evento grande, storico. I sinodi, che si svolgono più frequente-mente, a seconda delle esigenze, non sono il Concilio, non ne hanno l’autorità, ma assu-mono autorevolezza nella misura in cui il successore di Pietro fa proprie le conclusioni si-nodali. Non sono tutti i vescovi che si radunano, ma vescovi rappresentativi di tutta la Chiesa. Ricordiamo, in particolare, gli ultimi sinodi. Uno si è tenuto sulla famiglia e ci ha regalato l’esortazione post sinodale “Amoris laetitia”, che quest’anno siamo invitati ad approfondire. Un altro ha messo a tema la questione dei giovani. Sinodi su aspetti particolari. Qual è la specificità del Sinodo che il Papa oggi ha indetto e nel quale ci chiama tutti a coinvolgerci? Questo Sinodo ha come tema la stessa “sinodalità”, dunque, quello che, in qualche modo, esprime il senso generale della Chiesa, il fatto che noi come Chiesa dobbiamo sempre di più imparare e vivere la logica battesimale di un popolo che cammina insieme, sull’unica via che è Cristo, sulle strade del mondo.
Le letture che abbiamo or ora ascoltato, ci aiutano a mettere a fuoco questo cammino si-nodale al quale il Papa ci invita. Partiamo dal Vangelo. È un brano che non finiamo mai di approfondire, e ci fa tanto bene. Risponde alla nostra esperienza e alla nostra vita. Due discepoli – ci siamo tutti dentro questi due discepoli – vanno da Gerusalemme ad Emmaus con il cuore in pena, rattristato, sfiduciato. Avevano incontrato Gesù, erano stati tre anni con lui, avevano ascoltato le sue parole, avevano fatto dei sogni con Lui e su di Lui e ora se lo ritrovano nella tomba. Per loro tutto è finito. La parola che dicono e che tante volte risuona anche sulle nostre labbra è: “speravamo”. “Speravamo che fosse finalmente arrivato il tempo della gloria, del regno di Dio. Avevamo riposto tutte le nostre speranze su di Lui”. Quante volte ci può capitare, nella nostra vita personale ed ecclesiale, di ritornare a questo “speravamo”. Ci viene da considerare amaramente: dopo duemila anni di storia cristiana oggi quante sfide si pongono al nostro cristianesimo. Pensiamo alla nostra Europa, continente evangelizzato fin dalle origini, e che oggi si distacca sempre più dalle radici cristiane. È sotto i nostri occhi un cristianesimo declinante numericamente e qualitativamente. La cultura cristiana si va sempre più diluendo e confondendo. È ormai alle nostre spalle la società cristiana a cui eravamo abituati. Abbiamo degli spezzoni, degli scampoli di società cristiana che riescono ancora a ritrovarsi, ma la cultura in sé, la società nel suo complesso, stanno perdendo il sapore del Vangelo e si regolano in una maniera tanto diversa dal Vangelo su molti temi vitali. Pensiamo ai temi della famiglia, della sessualità, della vita. E non mancano atteggiamento discutibili sul versante della giustizia sociale, dell’amore per i poveri, del senso vero della pace. Certo non bisogna generalizzare. Ma questa è la realtà che abbiamo sotto gli occhi e ci verrebbe da dire, come ai due discepoli: “speravamo”. Dopo duemila anni in cui la nostra Europa è stata il trampolino di lancio dell’evangelizzazione, – quanti missionari sono partiti per annunciare il Vangelo ad altri popoli – adesso ci ritroviamo ad essere terra di missione. Abbiamo bisogno anche noi di ri-evangelizzarci. Verrebbe da chiedere: “Ma come, Gesù, hai fallito? Sei morto per nulla?”. Ci viene qualche volta il senso di sfiducia dei due discepoli di Emmaus. E cosa ci dice il Vangelo aiutandoci a mettere questa problematica nella giusta direzione? Ci dice: stai attento, guardati bene attorno, accorgiti che accanto a te c’è Gesù che ti parla . Apri il cuore a quelle parole. I due discepoli ascoltano Gesù, gli pongono delle domande , ricevo-no da Gesù una risposta attinta alla parola di Dio, ma in realtà è lui stesso la Parola che cammina con loro. Se ne accorgono soltanto dopo: “Ah, ma noi sentivamo qualcosa, sentivamo che il cuore ardeva e i nostri occhi si aprivano. Riconoscono Gesù nello spezzare il pane, il gesto eucaristico. Ma allora egli sparisce a questo punto sparisce, come a dire: ecco, mi avete riconosciuto, adesso tocca a voi. Dite al mondo che io sono vivo e sto in mezzo a voi.
È una bellissima pagina, tutta da riscoprire, rispetto ai nostri problemi, alle nostre fatiche, alle nostre ansie, ai nostri fallimenti. Dobbiamo sentire che Gesù è vivo, che la sua morte non è stata l’ultima parola né è stata vana. Poi che cosa succederà una volta che abbiamo sentito questo, spetta allo Spirito Santo di costruirlo. Che cosa succede a questi due discepoli? Non stanno nei panni per questa scoperta. Non se ne restano ad Emmaus, tornano a Gerusalemme e lì c’è il grande incontro con gli altri che hanno, anch’essi, visto Gesù e insieme – ecco, questo “insieme”, la “sinodalità” – si raccontano l’esperienza di Gesù e raccontandosela il loro cuore si infiamma, arde il desiderio di partire e annunciare.
A quel punto, però, il Risorto, in certo senso, dice un “Altolà!”. Come dire: avete capito e avete desiderio di partire per la missione. Tutto bene! Ma vi chiedo di fare prima cin-quanta giorni di silenzio, di ascolto, di preghiera, insieme con la Madre mia, che vi racconterà di me, vi aiuterà a capirmi. E insieme con Maria, che riesce a strappare ogni grazia dal cuore del Padre perché fa conto su di me, figlio del suo grembo, invocherete lo Spirito Santo. Io ve l’ho ottenuto sulla Croce, ma voi in qualche maniera vi dovete preparare a riceverlo. Quanto Spirito Santo, cari fratelli e sorelle, noi riceviamo senza che gli lasciamo il tempo e lo spazio per agire veramente nei nostri cuori. I sacramenti sono tutte effusioni di Spirito Santo. E purtroppo la nostra vita resta come quella di tutti quanti gli altri. Cos’è mancato? Com’è che per noi non succede quello che lo stesso Spirito fece succedere a Pentecoste? È diminuita la sua potenza? Ma lo Spirito Santo, come Gesù, è lo stesso ieri, oggi e sempre. Che cosa manca? Mancano quei cinquanta giorni, manca la nostra capacità di metterci in ascolto, in silenzio, in preghiera, invocando lo Spirito di Gesù insieme con Maria. Allora mi sembra, carissimi fratelli e sorelle di Foligno, che se vogliamo davvero ascoltare la voce di Gesù, che ci parla anche con questo invito del successore di Pietro, la prima cosa da fare è metterci nel Cenacolo con Maria. È tempo di Spirito Santo, è tempo di Pentecoste. Lo Spirito è colui che illumina, dà forza, sintonizza, fa comprendere. Avete sentito cosa succede a Pentecoste: il contrario di ciò che era successo a Babele, dove la torre dell’orgoglio aveva diviso le lingue degli uomini e non ci si capiva più. Cosa che succede anche ai nostri giorni. Nel tempo della rete, fatta per unire, ci sentiamo invece tanto dispersi: ognuno prende il suo filone, ognuno frequenta i suoi “social”, e in base a quelli si regola, immaginando di aver colto la verità. E questa verità tante volte diventa il contrario dell’altra verità. Solo lo Spirito Santo riesce a sciogliere il nodo intricato di Babele. Solo lo Spirito Santo riesce ad abbattere la torre del nostro orgoglio e a rimetterci in cammino di solidarietà fraterna, mettendoci in condizione di ascolto reciproco, perché nessuno condanni l’altro ma tutti ascoltiamo Gesù e il suo Spirito per ricominciare, come i due discepoli di Emmaus.
Ecco, quello che mi premeva dirvi in questa circostanza è che è davvero un’occasione grande: il Signore ce la offre attraverso la voce di Pietro e noi l’accogliamo volentieri per la nostra Chiesa, in cui la sinodalità è stata già ampiamente sperimentata. Ho letto gli atti del Sinodo di monsignor Benedetti: fu veramente una grande esperienza che tradusse il Concilio per la Chiesa di Foligno. Poi mi sono letto le belle pagine del Sinodo dei giovani di monsignor Bertoldo. Infine ho letto, per l’episcopato di mons. Sigismondi, la documentazione della sinodalità espressa attraverso gli atti del consiglio pastorale diocesano. C’è una bella tradizione di sinodalità in questa Chiesa. Io in questi mesi la sto, gradualmente, conoscendo, apprezzando e valorizzando. Sto cercando di elaborare qualche piccolo orientamento pastorale, ma non lo chiuderò senza avervi ascoltato. Ho già coinvolto i miei primi collaboratori e le varie aree pastorali. Ascolterò anche il Consiglio pastorale diocesano. A voi chiedo, in questo tempo, di fare insieme con me quest’esperienza del Cenacolo. Imploriamo il Signore, mettiamoci davvero in grande comunione e in grande ascolto di Gesù e in ascolto reciproco. Ognuno ha qualcosa da dire, forse anche quando sbaglia. In quell’errore ci può essere qualche scintilla di verità che noi dobbiamo sapere in qualche modo valorizzare. Se ci mettiamo in questo atteggiamento di umiltà, di ascolto e di accoglienza, il Signore farà grandi cose per noi e ci sentiremo la Chiesa della Pentecoste, capace di andare per le strade del mondo a gridare che una speranza c’è, e la nostra speranza è Gesù.