Catechesi del Vescovo per l’Avvento 2018

26-11-2018
Meditazione dettata agli operatori pastorali, all’inizio dell’Avvento 2018
 
L’Avvento è il tempo in cui la Chiesa ravviva l’attesa del Signore mettendosi in ascolto della voce dei profeti, amplificata da quella di Giovanni Battista, e del silenzio di Maria Vergine, assorta nel custodire e meditare il Verbo della Vita. L’ascolto è una sorta di “portale” che ha come base il silenzio, come stipiti la semplicità e l’umiltà del cuore, come architrave il dialogo e come chiave la speranza. Il silenzio è la soglia dell’ascolto, la condizione ambientale che favorisce il raccoglimento, la meditazione. Già il fatto stesso di lasciarsi riempire dal silenzio predispone alla preghiera. La disciplina dell’ascolto non sottrae spazio al dialogo, con Dio e con i fratelli, ma contribuisce a prepararlo; il silenzio non fa altro che permettere all’essenziale di farsi sentire. “Ci sono molti anacoreti – lamentava Sant’Ammonio, monaco egiziano vissuto nel IV secolo –, che non riescono a perseverare nel silenzio, perché non sono riusciti a vincere la propria volontà”.
Se il silenzio è la base del “portale” dell’ascolto, esso ha come stipiti la semplicità e l’umiltà del cuore. È impossibile ascoltare senza accogliere colui che parla: non basta riceverlo! Fa finta di ascoltare chi, pur tacendo, ha il cuore occupato. La durezza di cuore la rivelano gli orecchi più che i gesti e le parole. Pensa ad altro chi manifesta la propria impazienza con continui interventi; guarda l’orologio in modo compulsivo chi ha fretta di congedare, ostentando cortesia e magari osando dire: “A presto! A risentirci!”. Il “portale” dell’ascolto ha come architrave il dialogo e come chiave la speranza, nemica giurata dell’ansia, un derivato dell’efficienza che affonda le proprie radici nella presunzione di bastare a se stessi. L’ansia si introduce di soppiatto; prime vittime a cadere sotto le sue lame affilate – i denti! – sono le matite e le unghie. L’ansia è un veleno d’aspide che s’insinua dallo stomaco; se ne sta assopita a lungo, prima di svegliarsi dal letargo. Suo integratore preferito è il caffè, con i suoi vapori e le sue fragranze. Suo antidoto è la speranza!
“Ascoltare – osserva Papa Francesco – è molto più che udire. L’udire riguarda l’ambito dell’informazione; ascoltare, invece, rimanda a quello della comunicazione, e richiede la vicinanza. L’ascolto ci consente di assumere l’atteggiamento giusto, uscendo dalla tranquilla condizione di spettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltare significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune. Ascoltare non è mai facile. A volte è più comodo fingersi sordi. Ascoltare significa prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di dare valore, rispettare, custodire la parola altrui. Nell’ascolto si consuma una sorta di martirio, un sacrificio di se stessi in cui si rinnova il gesto sacro compiuto da Mosè davanti al roveto ardente: togliersi i sandali sulla terra santa dell’incontro con l’altro che mi parla (cf. Es 3,5)”.
Ascoltare la Parola, la storia, la coscienza, i fratelli: questi sono, per così dire, i punti cardinali dell’ascolto, che è uno spazio aperto all’incontro. Poiché “la fede viene dall’ascolto” (Rm 10, 17), occorre “fare posto” alla Parola, gustandone la “dolce amarezza” (cf. Ap 10,8-11). La vita cristiana è fatta di “pane e acqua”: il Pane vero dell’Eucaristia e l’Acqua viva delle Scritture! Chi tende l’orecchio alla Parola, come il popolo che nel tempio di Gerusalemme pendeva dalle labbra di Gesù (cf. Lc 19, 45-48), sa tenere la mano nel polso del tempo, poiché gli appelli dello Spirito risuonano anche negli avvenimenti della storia. Riconoscere i “semi del Verbo” nei “segni dei tempi”, raccogliendo i diversi frammenti di verità, sparsi ovunque, è un esercizio di discernimento che interpella la vita pastorale e la sollecita ad evitare di vivere di molte iniziative, ma di poche relazioni, in particolare con quelli con i quali il Signore ha voluto identificarsi: i poveri. Essi domandano di essere accolti e ascoltati: sarà sempre insipido un piatto servito senza aprire l’orecchio del cuore!
“Ascoltare – scriveva Henri Nouwen – è molto di più che permettere all’altro di parlare mentre si aspetta l’occasione di rispondere. Ascoltare è prestare la massima attenzione agli altri e accoglierli nel nostro vero essere (…). L’ascolto è una forma di ospitalità spirituale con la quale si invitano gli estranei a divenire amici, a conoscere più pienamente se stessi e, alla fine, si permette loro di restare in silenzio con noi”. È opportuno, pertanto, creare dentro e attorno alle nostre comunità luoghi di decompressione o di decongestione: luoghi in cui trovare persone disposte ad ascoltare il grido dell’umanità, spesso silenzioso. “È indispensabile – osservava Luigi Serenthà – che mentre uno annuncia il Vangelo sia pronto a percepire tutti i dinamismi, gli itinerari spirituali che il fratello sta percorrendo. Occorre abituarsi a questa profonda capacità di ascolto, di dialogo, che non perde nulla della chiarezza del messaggio evangelico. È la capacità di non gridare forte il Vangelo, ma di gridarlo dentro un contesto di ascolto, di sintonia, di enorme pazienza”.
Fratelli carissimi, non facciamoci illusioni, siamo ancora troppo lontani da questo orizzonte! Oltre che sempre più frantumati in cattolici della morale e cattolici del sociale, corriamo il rischio di dividerci, da una parte, tra quanti ritengono che “l’essere cristiano sia una specie di abito da vestire in privato” e, dall’altra, tra coloro che non riescono a intendere quanto sia necessario rispondere, “con dolcezza e rispetto”, a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi (cf. 1Pt 3,15-16). L’auspicio è che ciascuno sappia lasciarsi mettere in ascolto e in discussione. Si dispone a mettersi in discussione solo chi impara ad ascoltare! Chi abbassa troppo la voce, nel timore di perdere il favore degli uomini, si carica di una grave responsabilità: tacere la “verità tutta intera”. Al contrario, chi esagera nell’alzare il tono, dimentica non solo che “la verità è intransigente e non intollerante”, ma anche che “ogni anima ha la sua pienezza del tempo”, il suo momento favorevole per la “fioritura”. “La forza dell’annuncio – assicura Papa Francesco – non dipende dagli argomenti che convincono, ma dalla vita che attrae; non dalla capacità di imporsi, ma dal coraggio di servire”.
 
+ Gualtiero Sigismondi