Catechesi del Vescovo per la Quaresima 2015

20-02-2015
La grazia e la gioia del perdono
 
Nella Sacra Scrittura “misericordia” è parola dalle molteplici sfumature, come altrettante variazioni dell’amore: tenerezza, bontà, compassione, clemenza, perdono, grazia. Le sue radici latine, misereri e cor-cordis, portano a significare la realtà di Dio nel cuore delle miserie umane. Il termine ebraico rahamîn rinvia, invece, alle viscere della madre che si commuove fino alle lacrime per il proprio figlio (cf. Is 49,15). Dio è sempre pronto a chinarsi sul peccatore e a donargli il suo perdono, manifestazione suprema delle sue “viscere” di misericordia. Non c’è peccato di alcun genere che possa cancellare dalla memoria e dal cuore di Dio uno solo dei suoi figli. “Dio ricorda, sempre, non dimentica nessuno – assicura Papa Francesco – di quelli che ha creato; Lui è Padre, sempre in attesa vigile e amorevole di vedere rinascere nel cuore del figlio il desiderio del ritorno a casa. E quando riconosce quel desiderio, anche semplicemente accennato, e tante volte quasi incosciente, subito gli è accanto, e con il suo perdono gli rende più lieve il cammino della conversione e del ritorno”.
La Chiesa è messaggera e testimone dell’infinita bontà di Dio Padre, che ama l’uomo così com’è, con i suoi limiti, con i suoi peccati. “L’affermazione Dio è misericordia significa che Dio ha un cuore per i miseri. Egli – scrive Walter Kasper – non è un Dio, per così dire, disinteressato al destino degli uomini, ma piuttosto si lascia commuovere e toccare dalla miseria dell’uomo”. La misericordia divina “veste” di candore il peccatore pentito, ma non “traveste” di santità il peccato. “La medicina della misericordia – osserva Bruno Forte – non è mai finalizzata a favorire i naufragi, ma sempre e solo a salvare la barca sul mare in tempesta e a dare ai naufraghi l’accoglienza, la cura e il sostegno necessari”. “La divina misericordia – puntualizza Gerhard Ludwig Müller – non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dagli insegnamenti della Chiesa. È tutto il contrario: Dio, per infinita misericordia, ci concede la forza della grazia per un pieno adempimento dei suoi comandi e così ristabilire in noi, dopo la caduta, la sua immagine perfetta di Padre celeste”.
Dio proclama la giustizia con forza, ma al tempo stesso cura le ferite con il balsamo della misericordia, che non elimina i comandamenti ma ne è la chiave ermeneutica (cf. Mt 12,7; Os 6,6). Giustizia e misericordia non sono semplici attributi ma nomi di Dio che rivelano il suo Volto. Giustizia e misericordia sono due realtà differenti soltanto per noi uomini, che distinguiamo un atto giusto (ciò che è all’altro dovuto) da un atto d’amore (ciò che è donato per bontà). Ma per Dio non è così: in Lui giustizia e misericordia coincidono; non c’è un’azione giusta che non sia anche atto di misericordia e, nello stesso tempo, non c’è un’azione misericordiosa che non sia perfettamente giusta. La parabola dei lavoratori presi a giornata in ore diverse e tuttavia pagati allo stesso modo rende esplicito il delicato rapporto tra giustizia e misericordia (cf. Mt 20,1-16). 
La misericordia senza giustizia sarebbe ipocrita, mentre la giustizia senza misericordia sarebbe cieca. “Non c’è giustizia senza perdono – precisava Benedetto XVI – ma nello stesso tempo il perdono non sostituisce la giustizia e non significa negazione del male. Il concetto di perdono nel cristianesimo fa nascere una nuova idea di giustizia, che non si limita a punire ma riconcilia e guarisce”. La misericordia divina si manifesta come silenzio che accoglie, ascolta, perdona, ama perdutamente tutti i suoi figli, pronunciando una sola ed eterna Parola, il Figlio, il Verbo fatto carne. Gesù Cristo è nella storia l’amore che Dio vuole essere dinanzi alla miseria umana: “eccesso” di grazia; nell’evento della Croce ci offre la “misura alta” del suo amore che sopravanza il peccato. “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20). 
La misura infinita della grazia precede addirittura il nostro pentimento. Il bene non solo precede il male, ma riesce ad avere ragione anche di ogni suo eccesso, che si scatena dentro la spirale più terrificante del vizio. Se il male ha una misura estrema di perversione, la misura della grazia è infinitamente più “esagerata” nell’ordine del bene. Non c’è un’estrema linea di frontiera, nei territori dell’abiezione umana, oltre la quale è fatto divieto alla grazia di avventurarsi. Del resto, nemmeno l’atto di radicale opposizione alla volontà di Dio, che ha generato una lesione profonda nella storia dell’umanità (cf. Gen 3), ha potuto estirpare la radice del bene. “Per quanto radicale – sottolinea Paul Ricoeur – il male non potrà mai essere originario come la bontà”. Il male è un parassita del bene, e tuttavia anche il peccatore più incallito conserva un pizzico di nostalgia per il bene!
La misericordia ha il volto del perdono incondizionato: è l’eccesso della carità divina dinanzi all’eccesso dell’umana miseria. La ricchezza del perdono si misura dalla profondità dell’abisso in cui il peccatore grida a Dio il suo pentimento che, secondo Romano Guardini, “è una delle più potenti forme di espressione della nostra libertà”. Il pentimento è la storia di una libertà che si lascia sedurre da Dio, il quale, a sua volta, viene sedotto da un cuore capace di estinguere l’odio con l’amore, di disarmare la vendetta con il perdono. “Dobbiamo avere misericordia – avverte Luigi Alici – perché abbiamo ricevuto misericordia, non per ricevere misericordia. Perdonare non è chiudere gli occhi dinanzi al male: non si perdona perché si dimentica, si dimentica perché si perdona. L’oblio non è un evento, il perdono sì: è un dono che non sostituisce il giudizio ma lo supera, ricrea le condizioni per un nuovo inizio nella relazione con l’altro”. 
“La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (Gc 2,13). Il perdono viene prima della condanna morale: la verità si svela nell’amore; chiarire la natura di una condotta di peccato è un atto eminente di misericordia. Non è cosa semplice amare nella verità e nella misericordia, cioè perdonare, tanto è vero che un perdono accordato facilmente ha molte probabilità di non essere autentico. “Perdonare di cuore, fino a settanta volte sette” (cf. Mt 18,21-35), è un cammino lungo che domanda di abbattere i muri impenetrabili del pregiudizio e del risentimento. Si tratta di un percorso segnato dal “non fare” ciò che avremmo voluto che gli altri non facessero a noi (cf. Mt 7,12): solo così si può fermare il contagio della vendetta. Si tratta di un percorso faticoso, costoso, che chiede di “benedire coloro che ci perseguitano” (cf. Rm 12,14), di “non rendere a nessuno male per male” (cf. Rm 12,17), di “vincere il male con il bene (cf. Rm 12,21). 
Gesù che sulla croce chiede al Padre di perdonare coloro che lo crocifiggono (cf. Lc 23,34), ci invita ad amare i nemici, sapendo perdonare sempre (cf. Mt 5,38-48), vivendo lo stesso atteggiamento di misericordia che Dio ha nei nostri confronti (cf. Mt 6,12). “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Questa vetta evangelica può essere raggiunta solo per grazia, trovando rifugio nella preghiera. Il male può essere superato solo con il perdono, il quale attesta che l’ultima parola non spetta al male commesso, ma alla grazia. Per vivere nella misericordia bisogna essere disposti a perdere se stessi. “Amiamo – raccomanda Papa Francesco – coloro che ci sono ostili; benediciamo chi sparla di noi; salutiamo con un sorriso chi forse non lo merita; non aspiriamo a farci valere, ma opponiamo la mitezza alla prepotenza; dimentichiamo le umiliazioni subite (…). Un cuore vuoto di amore è come una chiesa sconsacrata, sottratta al servizio divino e destinata ad altro”. 
Il perdono non è un sentimento ma una decisione. Chi sa offrire il perdono non conosce né suscettibilità né delusioni, ma solo gratitudine, perché ha sperimentato la gioia di essere perdonato. È evidente, però, che la misericordia non è un dono di natura che alcuni credono di avere per la pacatezza del carattere, ma è il frutto maturo di una diuturna lotta spirituale che disciplina il cuore e lo rende aperto all’opera dello Spirito santo. Doroteo di Gaza, con la sapienza maturata nell’ascolto assiduo della Parola, così racconta la sua esperienza di misericordia come superiore della comunità monastica: “Non cercare di conoscere la malvagità del tuo prossimo, non fidarti dei sospetti che nutri contro di lui. Anche se la nostra malvagità li fa conoscere, sforzati di trasformarli in pensieri di bene. Rendi grazie in tutto e acquisterai la bontà e la santa carità”. 
“Il perdono – affermava san Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2002 – è innanzitutto una scelta personale, un’opzione del cuore che va contro l’istinto spontaneo di ripagare il male col male. Tale opzione ha il suo termine di confronto nell’amore di Dio: ha dunque una radice e una misura divine (…). La proposta del perdono non è di immediata comprensione né di facile accettazione; comporta sempre un’apparente perdita a breve termine, mentre assicura un guadagno reale a lungo termine. La violenza è l’esatto opposto: opta per un guadagno a scadenza ravvicinata, ma prepara a distanza una perdita reale e permanente. Il perdono potrebbe sembrare una debolezza; in realtà, sia per essere concesso che per essere accettato, suppone una grande forza spirituale”. “Avere un cuore misericordioso – scrive Papa Francesco nel messaggio per la Quaresima 2015 – non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio”.
+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno