Relazione al Consiglio Pastorale Diocesano

CONSIGLIO PASTORALE
 
Il Vangelo va portato con “delicata fierezza”: questo ossimoro traduce l’esortazione “petrina” ad essere sempre pronti a dare risposta, “con dolcezza e rispetto”, a chiunque ci domandi ragione della nostra speranza (cf. 1Pt 3,15-16). Dobbiamo farlo con la “forza mite” che viene dall’unione con Cristo e con la “retta coscienza” di chi deve resistere tanto alla tentazione di mimetizzare la verità cristiana, quanto all’illusione di arroccarsi nella propria cittadella fortificata. Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell’azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica, ben sapendo, come insegna la Lettera a Diogneto, che i cristiani godono nel mondo di una “cittadinanza paradossale”. L’immagine evangelica del “sale della terra e della luce del mondo” (cf. Mt 5,13-14) è un riferimento significativo che guida la presenza dei cattolici nella società. Esplicita questa duplice immagine l’esortazione evangelica ad “essere nel mondo ma non del mondo” (cf. Gv 17). Si tratta di un’espressione paradossale con cui Gesù invita i discepoli a mantenere una tensione dinamica tra nascondimento e visibilità, lasciando intendere che “il ponte con il mondo non va tagliato ma rinforzato, non stretto ma allargato”.
 
Nell’orizzonte della presenza della Chiesa nel mondo emerge il discorso sulla laicità, che non è incompatibile con ogni istanza di tipo religioso. Il preteso confinamento della religione nello spazio individuale e privato non appartiene alla visione né cristiana né religiosa delle cose, ma neppure alla ragione. È auspicabile, pertanto, stimolare i fedeli laici a partecipare attivamente alla vita sociale, senza complessi d’inferiorità, vincendo ogni forma di chiusura, di distrazione, di indifferenza e, soprattutto, di sonnolenza. Tale presenza non s’improvvisa; rimane, piuttosto, l’obiettivo a cui deve tendere un cammino di formazione intellettuale e morale che, partendo dalle grandi verità intorno a Dio, all’uomo e al mondo, offra criteri di giudizio e principi etici per interpretare e servire il “bene comune”. Urge spendersi nella formazione di coscienze cristiane mature, cioè aliene dall’egoismo, dalla cupidigia e dalla bramosia di carriera, coerenti con la fede professata, conoscitrici delle dinamiche culturali e sociali del nostro tempo, capaci di assumere responsabilità pubbliche con competenza professionale e spirito di servizio, esercitando la “complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi”.
 
“Nel prossimo decennio – osserva il card. Angelo Scola – la questione dell’impegno politico dei cristiani e della dimensione sociale della vita di fede, sul piano personale e comunitario, sarà bruciante”. Ricordando l’invito di Hans Urs von Balthasar ad “abbattere i bastioni”, Scola osserva che “ci siamo lanciati in un’azione coraggiosa di condivisione dei bisogni degli ultimi e dei più emarginati. Però i bastioni del confronto con le grandi urgenze che oggi la società civile ci presenta, cioè il mondo della politica in senso lato, non li abbiamo ancora abbattuti. Bisognerebbe che i cristiani si interrogassero – in maniera molto più pronunciata di quanto non sia avvenuto negli ultimi anni – sulla modalità con cui attuare la dimensione pubblica della fede nel processo di grande cambiamento in atto. Sarebbe qui necessario entrare nei problemi specifici, anche quelli che sono occasione di dialettica e di conflitto con altri soggetti che abitano la nostra società plurale. Penso ai temi scottanti della nascita, della morte, della bioetica in generale, dell’educazione, della giustizia sociale e altri. Il problema della Chiesa di oggi è rigenerare il soggetto che è il popolo di Dio sulla base di una dottrina sana e di una prassi solida”.
 
“L’essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante”. Ai credenti e al popolo di Dio nel suo insieme è chiesto di essere “segno di contraddizione” (cf. Lc 2,34) con l’audacia della “delicata fierezza” di chi sa che la Chiesa – come diceva don Primo Mazzolari – “non ha confini da difendere o territori da occupare, ma una maternità da allargare”.
 
+ Gualtiero Sigismondi
05-05-2017