Relazione al Consiglio Pastorale Diocesano

“Chiesa è il nome del convenire e del camminare insieme” (S. Giovanni Crisostomo, Ex in Psalm 149,2). Questa affermazione mette in luce il duplice aspetto della sinodalità: il rapporto della Chiesa con la liturgia eucaristica, sorgente della communio, e la modalità storica con cui tale communio si attua: “camminare insieme”. La sinodalità, frutto e condizione della venuta dello Spirito, è la forma esteriore che il mistero della communio assume nella vita della Chiesa. La sinodalità trova nel discernimento la sua più alta definizione; esso non precede l’azione ecclesiale, ma è il risultato di un paziente cammino di verifica (verum facere) che, all’interno di un’autentica vita di comunione, punta ad accogliere “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,7). Considerato in tale prospettiva, il discernimento implica il criterio della “gradualità” nella comprensione della volontà di Dio, che passa sempre attraverso la “porta stretta” delle mediazioni umane.
Come nella navigazione marina oltre alla bussola, che indica la direzione, occorre il sestante, che consente di conoscere la posizione, così nella vita pastorale è impossibile tracciare la rotta degli orientamenti da seguire prescindendo dalla situazione in cui ci si trova. Il periodo storico attuale si configura come una fase di transizione, delicata e impegnativa, che chiede di essere “più inclini all’esultanza che al lamento” nel ripensare la presenza della Chiesa sul territorio in prospettiva missionaria. Dalle sfide dell’ora presente occorre trarre le risorse di creatività e di carità pastorale necessarie per superare le paure che rischiano di bloccare l’opera di riforma della “conversione missionaria della pastorale”. Si tratta di una “grande opera” chiamata a misurarsi con un ambiente sociale indifferente alla fede e con un contesto ecclesiale che si allontana, pericolosamente, dall’avere “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32).
C’è una frattura cronica nella comunità ecclesiale che divide i progressisti ad oltranza dai tradizionalisti irriducibili; ma c’è pure un’opposizione latente che separa i cattolici della morale dai cristiani del sociale. Dietro questa frattura scomposta si cela la difficoltà a comprendere che l’essere cristiano non è né “un’uniforme da vestire in privato”, tenendo nel fodero la spada della parola di Dio, né “una corazza da indossare in pubblico”, sguainando la spada del fondamentalismo, incapace di mediare i valori evangelici nella società pluralista. C’è una sola spada in dotazione ai battezzati, quella dello Spirito che è la parola di Dio (cf. Ef 6,17); una spada affilata, “a doppio taglio”: le Beatitudini (cf. Mt 5,1-12) e il Giudizio finale (cf. Mt 25,31-46). Il Discorso della montagna non penetra “fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito” (cf. Eb 4,12) se non lo si declina in tutte le lingue della fragilità umana.
La diffidenza ad avventurarsi nello spazio della fraternità, senza “navigatore”, ha una radice che, a giudizio di Matteo Truffelli, può essere individuata “nella resistenza ad accettare la fatica e il tempo necessari a un autentico ascolto reciproco (e ancor più all’ascolto del mondo, delle domande, delle paure, dei dubbi e delle delusioni che abitano il cuore delle persone) e a un confronto libero e responsabile tra punti di vista, sensibilità e bisogni differenti. Due condizioni indispensabili per ogni esperienza sinodale. Condizioni che postulano la disponibilità a non sapere in precedenza quale potrà essere il punto di arrivo del percorso, accettando il rischio di incamminarsi ugualmente. Se sinodalità significa camminare insieme, allora non può voler dire mettersi in strada con l’intenzione di condurre i compagni di viaggio a un traguardo cui si è già convinti di dover giungere, lungo una rotta predefinita, anche quando la comune direzione generale è chiara. Non può nemmeno voler dire che qualcuno corre avanti mentre qualcun altro rimane indietro. Come sa chi frequenta i sentieri di montagna, camminare insieme chiede la prudenza di procedere senza strappi e la saggezza di rispettare il passo di ciascuno”.
La forza dell’annuncio dipende dal coraggio di essere “segno di contraddizione”, camminando insieme. Occorre, dunque, ritessere l’unità della Chiesa, presupposto necessario per discernere e intraprendere nuove strade, nuovi modi di immaginare la vita e la missione del Corpo ecclesiale, in un tempo segnato da “dure prove e stimolanti avventure”.

+ Gualtiero Sigismondi

20-06-2019