Relazione al Consiglio Pastorale Diocesano

Cosa chiede alla Chiesa particolare di Foligno il Documento finale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi? Chiede anzitutto di osare, cioè di “uscire”, di praticare i luoghi dell’umano non per occupare spazi ma per avviare processi. La prossimità evangelica è sia il principio sia la forma del cristianesimo. Alla pastorale dei luoghi simbolici e rappresentativi è necessario affiancare una pastorale degli incontri inattesi, che domanda di stare negli interstizi, ai crocevia e, soprattutto, di lasciarsi coinvolgere e sorprendere. Questo cambiamento di rotta e di stile sono soprattutto i giovani a esigerlo con i loro interrogativi, sovente muti. Essi abitano non una “terra arida”, bensì una “terra incolta”. Si tratta di uno spazio aperto alla conoscenza della “grammatica umana” e della “sintassi affettiva”. Occorre confessare, come comunità ecclesiale, l’inadeguatezza a educare i giovani, senza sconti e senza scrupoli, sia a riconoscere la vulnerabilità dei sentimenti – scossi dalle emozioni più che sostenuti dalle ragioni –, sia a scoprire che la gratuità di amare e di lasciarsi amare non si improvvisa.

Resta sempre valida la sottolineatura compiuta da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica, Dilecti Amici, del 31 marzo 1985: “La Chiesa guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei giovani”. Essi sono uno dei “luoghi teologici” in cui il Signore manifesta alcune delle sue aspettative e delle sue sfide per costruire il domani. Il risvolto più concreto della pastorale giovanile è quello di evitare due estremi: la delusione rinunciataria o la presenza ansiosa. La frequentazione delle nuove generazioni – senza temerne attese, richieste, contraddizioni, ingenuità – è il modo migliore per entrare in contatto con il mondo che abitano. Una delle sofferenze che patiscono i giovani è un sottile senso di solitudine, acuito da una generazione adulta poco disposta o non preparata a mettere in atto, senza intenti paternalistici, il “metodo di Emmaus”, cioè camminare con loro, superando la “sindrome di Giona”, soprattutto su argomenti controversi. Le nuove generazioni non si aspettano una “Chiesa giovanile” che imiti magari goffamente il loro stile, ma una “Chiesa adulta”, che sappia abbandonare la pretesa di inseguirli e di assecondarli con l’obiettivo di non farli scappare. Più che intrattenuti i giovani hanno bisogno di essere accompagnati nella loro crescita. È necessario trasmettere l’idea che la fede non è qualcosa da vivere in modo perlopiù infantile, ma è una realtà che ha a che fare con l’intero arco della vita e che domanda impegno e serietà.

Il rapporto educativo con i giovani, oltre a fare affidamento sulla qualità dei formatori – gli animatori non mancano ma i formatori scarseggiano! –, e su un forte orientamento vocazionale – finalizzato a leggere la vita come un dono, totalmente gratuito, da non tenere per sé (cf. Mt 10,39) –, si gioca sull’importanza del linguaggio. Le nuove generazioni si trovano alle strette in ogni comunità cristiana che non abbia rinnovato i suoi codici comunicativi per veicolare l’annuncio evangelico, che non abbia installato antenne capaci di lanciare segnali percepibili e di sintonizzarsi su frequenze diverse rispetto a quelle usate in passato. Nel linguaggio dello sport (la cura e la disciplina del corpo, la dinamica di squadra, il rispetto delle regole, lo spirito di sacrificio) e della musica (particolarmente connessa con la dimensione dell’interiorità e della creatività), ad esempio, sono insite grandi opportunità che possono aiutare a comprendere come ridurre la distanza tra il gergo ecclesiale e quello dei giovani. Essi, accerchiati dal dilagante e incontrollato successo dei social media, sono abitanti del villaggio globale, che li pone in un’illusoria realtà virtuale. E tuttavia, per i giovani, il mondo dei new media è un luogo di vita: offre opportunità inedite, pur presentando seri rischi. La comunità cristiana sta ancora costruendo la propria presenza in questo areopago, dove i giovani, con il loro chattare, hanno qualcosa da insegnarle. Essi la provocano a dialogare con la modernità, a frequentare l’ambiente delle nuove tecnologie, a riconoscerne le risorse e a orientarne il corretto utilizzo.

+ Gualtiero Sigismondi

21-02-2019