Relazione al Consiglio Pastorale Diocesano

L’arte pastorale è imparare lo stile di Gesù, che passa nei luoghi della vita quotidiana, si ferma senza fretta e, ascoltando le necessità dei fratelli, li conduce all’incontro con il Padre. La vita pastorale ha bisogno di una Chiesa in movimento, capace di allargare i propri confini, misurandoli non sulla ristrettezza dei calcoli umani o sulla paura di sbagliare, ma sulla “misura alta” della divina misericordia. L’auspicio è che la Chiesa possa orientarsi non sul mondo ma sul Vangelo, che occorre portare là dove vive la gente. Questo orientamento pastorale domanda a tutti i battezzati di piegare le ginocchia oltre che calzare i sandali, di porgere l’orecchio oltre che prendere la parola, di tendere le mani oltre che aprire gli occhi, di suonare il campanello oltre che le campane.
Come c’è una “teologia genuflessa”, così non può mancare una “pastorale genuflessa”. Invano si calzano i sandali se non si consumano le ginocchia, se non si sente il bisogno, ogni giorno, di “soffermarci in preghiera per chiedere al Signore che torni ad affascinarci”. Gesù, alla vista delle folle numerose, non prova agitazione ma sente compassione, spezza i pani per circa cinquemila uomini (cf. Mt 14,13-23), conservando la libertà di salire sul monte, in disparte, per raccogliersi in preghiera, “sorgente inesauribile della consegna di sé al Padre”. 
La pastorale dell’orecchio sollecita a “conservare un contatto continuo con le Scritture” e a prestare ascolto ai fratelli senza impazienza e senza fretta. Discernere e accompagnare sono responsabilità che, per così dire, all’irrigazione “a pioggia” o “a scorrimento” devono privilegiare quella “a goccia”. L’arte pastorale non è semplicemente un’applicazione automatica di leggi generali a situazioni particolari, ma è un’opera di discernimento e di accompagnamento che sa attendere la “pienezza del tempo” di ciascuno.
L’apostolato delle mani tese sente col cuore quello che vede con gli occhi, esprime nell’abbraccio degli occhi il battito del cuore, non esitando a fermarsi e chinarsi ovunque ci sia qualcuno che chiede aiuto per rimettersi in piedi. La parabola del buon Samaritano insegna che nulla accade “a caso”, nemmeno negli incontri che avvengono “per caso” (cf. Lc 10,25-37). In ogni strada, per un misterioso accordo di circostanze e di eventi, c’è sempre una corsia che conduce a Dio, che offre alla Provvidenza l’occasione di misericordiosi interventi.
L’apostolato del campanello non rinuncia al suono delle campane, ma lo amplifica avvicinandosi alla porta di casa delle famiglie, senza “passare oltre” davanti a chi ha irrimediabilmente spento il fuoco dell’amore coniugale e senza trascurare quanti attendono di rattizzarlo, di ravvivarlo o, addirittura, di farlo divampare. Se non si riparte dalla famiglia, con una pastorale che non predica ai bambini e benedice gli adulti ma benedice i bambini e predica agli adulti, l’impegno per l’evangelizzazione sarà sempre una rincorsa affannosa. 
L’invito a sognare una Chiesa “in uscita” suona la sveglia alla “conversione missionaria della pastorale”, che sollecita a inoltrarsi lungo rotte non tracciate, per decifrare la sete di verità che inquieta il cuore umano. Per essere all’altezza di questo compito occorre dare una risposta ai seguenti interrogativi:
– sarà finalmente possibile che i fedeli laici possano trovare nella parrocchia non una spugna che li assorbe ma una fontana che li disseta?
– sarà finalmente possibile che la parrocchia possa trovare nelle aggregazioni laicali delle realtà che non fanno proselitismo ma evangelizzazione?
– sarà finalmente possibile che la sinodalità possa trovare negli organismi di partecipazione la sua voce più espressiva e autorevole?
+ Gualtiero Sigismondi
28-10-2016