L’opera di Mons. Spuntarelli e l’attenzione ai giovani

Oggi Domenica 7 febbraio presso l’Istituto Salesiano di Perugia, è sta celebrata la Santa Messa durante la quale sono stati ricordati Mons. Guglielmo Spuntarelli fondatore della “Casa del Ragazzo”, Amedeo Bianchini storico custode della “Casa del Ragazzo”, Don Giorgio Colajacomo, direttore della casa Salesiana di Perugia (2014-2020).

Vogliamo ricordare, con un articolo della prof.ssa Nicoletta Marongiu Coordinatrice della “Casa del Ragazzo” CNOSfap di Foligno, la figura Mons. Guglielmo Spuntarelli sacerdote della Diocesi di Foligno e fondatore della “Casa del Ragazzo” di Foligno.

Don Guglielmo era un uomo di montagna dal carattere forte e tenace, umile e con una grande bontà d’animo. Era nato nel 1902 e veniva da Rasiglia, piccolo paese della montagna di Foligno, ed era sceso in città, chiamato dal suo vescovo, per guidare la parrocchia di S. Giovanni dell’Acqua, subito dopo la guerra, negli anni ’47-’48.

Amava stare con la gente
Don Guglielmo amava stare accanto alla gente, per questo era sempre in giro per la città a dare conforto agli ammalati, ai bisognosi, agli anziani. Stava poco in casa Don Guglielmo e vedeva tanti ragazzi che bighellonavano tutto il giorno per strada dove familiarizzavano troppo con i soldati, fumavano e non avevano alcunché da fare. Erano poveracci quei ragazzi dopo la guerra; non avevano di che vivere, molti non avevano più la casa o la famiglia. Non c’era cibo e neanche le scarpe da indossare. In città regnava la miseria e la distruzione. Miseria materiale e miseria morale. Non c’era lavoro, non c’era nulla.

Ebbe la stessa ispirazione di Don Bosco
Don Guglielmo pensò che bisognava fare urgentemente qualcosa per quei giovani, sempre al primo posto nelle priorità dei suoi impegni, dare loro una casa, una famiglia, un ambiente dove stare, un lavoro. Bisognava farli crescere lontani dai pericoli, forti e liberi, amanti della verità.

Come sottrarre i ragazzi dalla strada?
Per sottrarre i ragazzi alla strada, alla devianza, al degrado, era necessario offrire loro un luogo di formazione umana e professionale, ma anche di svago e soprattutto di elevazione spirituale. C’era necessità di accoglierli dalla mattina alla sera, per i casi più gravi, di predisporre dormitori per ospitarli anche di notte. Non si poteva perdere tempo, bisognava intervenire subito. Nacque così nel suo cuore il progetto di costruire per quei giovani una casa. L’avrebbe chiamata “Casa del Ragazzo”, perché non voleva che fosse luogo anonimo, di segregazione per diversi, ma luogo familiare in grado di donare agli ospiti quel calore di affetti che a loro mancava.

“Signore, che cosa debbo fare?”
Pregò molto. Prima di decidere, si mise con umiltà in ascolto della volontà del Signore. Durarono molti giorni le sue riflessioni, le sue meditazioni, dinanzi al ciborio della chiesetta di S. Giovanni dell’Acqua.
Un giorno, mentre era assorto nella preghiera, dalla strada udì grida e bestemmie, lo schiamazzo di una violenta rissa e si precipitò fuori dalla Chiesa per vedere che cosa stava accadendo. Alcuni ragazzi, sudici, vestiti di stracci, si rotolavano sull’acciottolato della via per conquistare una misera cicca di sigaretta. Tentò di riappacificarli, ma ebbe come risposta sberleffi e parolacce. Lo considerò un segnale. Avvertì che non c’era più tempo da perdere. E fu la sua più grande e geniale intuizione. Radunò alcuni parrocchiani e a loro presentò il suo progetto: dare inizio, nei locali sottostanti al Santuario della Madonna delle Grazie, ad una attività di accoglienza e di formazione al mestiere per ragazzi indigenti e privi di assistenza educativa.

Si chiamerà “Casa del Ragazzo”
Suggerì, per questa iniziativa, il nome di “Casa del Ragazzo”. Non aveva un soldo don Guglielmo, ma non si perse d’animo. Fu aperto un cantiere edile e don Guglielmo si mise subito al lavoro. Il suo abito talare era spesso imbrattato di terra e sabbia, ma non se ne curava più di tanto. Lui doveva realizzare il suo progetto più importante: voleva che i suoi giovani si formassero al senso della dignità, della responsabilità e del lavoro, nonostante gli svantaggi della loro condizione iniziale.

Sotto lo sguardo della Madonna delle Grazie
Il passo stabilito da Don Guglielmo era da bersagliere, tanto che più di una volta si trovò in grandi difficoltà finanziarie. Non si arrese mai. Le sue preghiere erano in misura diversamente proporzionale alla disponibilità di mezzi a sua disposizione. Si rivolgeva con fede al Signore e  bussava con fiducia al cuore della sua Madonna delle Grazie. Non rimase mai deluso, a mani vuote.

Intervenne la Provvidenza
Per costruire i nuovi locali, prima di ogni altra cosa dei laboratori, arricchendoli di sempre nuove specializzazioni, ricorse non solo all’aiuto di benemeriti cittadini, alla benevolenza di alcuni istruttori folignati, ma cominciò anche a rivolgersi agli uomini politici, alle autorità, al sindaco, al prefetto, al Ministro dell’Interno, a quello dei Lavori Pubblici, a quello del Lavoro. Non badò al loro colore politico. I Vescovi lo lasciarono fare; gli assicurarono la loro benedizione, la loro morale protezione, ma niente più. Di concreto nulla o quasi. I confratelli e i superiori lo seguivano con scetticismo, lo ritenevano troppo semplice e candido per sostenere un carico di responsabilità tanto grande. Don Guglielmo non aveva certo le doti, si direbbe oggi, di manager, né quelle di un efficiente organizzatore. Tutt’altro. Aveva però un grande cuore, era in grado di mettere a disposizione della Casa del Ragazzo il suo ricchissimo patrimonio di bontà e di totale dedizione alla causa. “Dobbiamo intrattenere rapporti di cordiale collaborazione con le autorità –  ripeteva – ma soprattutto dobbiamo avere fiducia nella Provvidenza, nella generosità della gente, nell’impegno disinteressato dei volontari”.

Il sogno divenne realtà
La “Casa del Ragazzo” nacque nell’aprile del 1948 e crebbe rapidamente. Don Guglielmo comprese che i ragazzi non avevano bisogno solo di istruzione professionale, ma di adulti disposti ad ascoltarli, di opportunità non solo di preparazione tecnica, ma anche di divertimento, di spazi per liberare la creatività e far crescere la loro personalità. Il clima della Casa doveva essere informale e familiare.

Padre e amico dei giovani, come Don Bosco
Don Guglielmo donava tutto il proprio tempo ai ragazzi. Non voleva essere né il capo padrone, né il direttore dell’opera, ma il padre e il fratello dei suoi giovani ed è per questo che manteneva sempre diretto e vivo il colloquio con loro, sia in riunioni di gruppo sia in incontri individuali. La porta della sua stanza era sempre aperta, non voleva né anticamere, né segretarie. È sempre stato per tutti gli allievi un amico vero, un compagno di bontà e di saggezza nel cammino della vita, al quale ricorrere nei momenti di difficoltà per avere il conforto di una buona parola, di un’autentica solidarietà cristiana.

Allievi ed ex allievi riconoscenti
I giovani ospiti della Casa si formavano, trovavano lavoro, si sposavano, dando vita ad ottime famiglie. Ritornavano spesso a rivedere il viso sorridente di Don Guglielmo e a rallegrare il suo cuore buono e paterno. È questo lo spirito che aleggia ancora nelle aule e nei laboratori della Casa del Ragazzo.

Quel giorno suonarono le campane della cattedrale
Appena Don Guglielmo spirò, era il 7 febbraio 1986, le campane della cattedrale suonarono a festa per annunciare che l’anima di un prete buono e generoso era volata in cielo. Quando si diffuse la notizia, generale fu il cordoglio e il compianto. I Folignati di tutti gli orientamenti ideologici, credenti e non credenti, riconoscevano che la città aveva perduto un testimone umile e coraggioso, un uomo che aveva fatto della povertà la sua virtù e dell’amore verso il prossimo il senso della sua missione spirituale, della sua presenza nella vita della comunità. Da ogni parte di Italia accorsero gli ex allievi per ripetere al buon pastore la loro gratitudine e, baciando la sua bara, rinnovare la promessa di fedeltà ai santi insegnamenti ricevuti alla Casa del Ragazzo.